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Anno 14 • N.4/2023
Il Prof. Corsini (Milano) ha introdotto una serie di concetti che hanno rappresentato la base per lo sviluppo di anticorpi monoclonali contro PCSK9, con un focus specifico su alirocumab. Questi concetti comprendono, oltre al già stabilito ruolo di PCSK9 nella modulazione dei livelli circolanti di LDL-C per azione a livello epatico, la presenza di PCSK9 in cellule della placca aterosclerotica, l’osservazione che topi knockout per PCSK9 mostrano una riduzione dell’ispessimento neointimale, e che alti livelli di PCSK9 stimolano l’aggregazione piastrinica e suggeriscono quindi un ruolo aterotrombotico. E’ noto che le statine aumentano l’espressione di PCSK9, suggerendo un meccanismo compensatorio alla risposta indotta dalle statine stesse e che però riduce l’effetto terapeutico di questa classe di farmaci. Da tutte queste osservazioni si intuisce come lo sviluppo di farmaci volti a inibire PCSK9 rappresenti un punto di svolta. Alirocumab è un anticorpo monoclonale di classe IgG1, ha una biodisponibilità dell’85% e sono disponibili due dosaggi approvati (75 mg Q2W e 140 mg Q4W). Numerosi trials clinici hanno valutato efficacia e sicurezza di alirocumab sia in monoterapia che in associazione a statine, e in diverse tipologie di soggetti. L’ODYSSEY PROGRAM, un insieme di studi di fase 3 ha riportato una riduzione dei livelli circolanti di LDL-C del 40-60%; ad oggi non sono state riportate criticità importanti per quanto riguarda la sicurezza.
Il Prof. Averna (Palermo) ha presentato dati di utilizzo di alirocumab nell’esperienza clinica. E’ importante sottolineare come nella pratica clinica i pazienti trattati siano profondamente diversi da quelli arruolati per gli studi clinici randomizzati, più eterogenei in termini di età, sesso, comorbidità e aderenza al trattamento. Lo studio ODYSSEY APPRISE ha coinvolto pazienti con ipercolesterolemia grave non controllata, e un elevato rischio CV; oltre il 60% dei soggetti erano pazienti con ipercolesterolemia familiare in eterozigosi. Questo studio ha riportato una riduzione dei livelli plasmatici di LDL-C pari al 55.7% dopo 12 settimane di trattamento con alirocumab 75 mg Q2W o 140 Q4W, con risposte comparabili tra i vari gruppi identificati nella popolazione studiata e indipendentemente dalla presenza di FH. I dati di sicurezza sono del tutto sovrapponibili a quelli riportati negli studi clinici randomizzati.
Nel pomeriggio, il Prof. R. Giugliano (Boston) ha descritto i risultati dello studio FOURIER su evolocumab, riportando anche i dati su sottopopolazioni specifiche. Lo studio FOURIER, condotto su pazienti con malattia CV e livelli plasmatici di LDL-C ≥70 mg/dL in terapia statinica, ha mostrato una riduzione significativa dei livelli di LDL-C (-59% vs placebo) e una significativa riduzione del rischio di eventi CV (-15% end point primario, -20% end point secondario). Analisi secondarie di questo studio hanno evidenziato l’efficacia di evolocumab in diversi sottogruppi di pazienti; il trattamento infatti è efficace sia in pazienti con diabete al momento del reclutamento, sia in pazienti con insorgenza di diabete nel periodo dello studio, mentre non sembra esserci associazione con l’insorgenza di diabete in pazienti trattati con evolocumab. L’anticorpo è molto efficace in pazienti con bassi livelli di colesterolo basale, anche in quelli con livelli <10 mg/dL. Non ci sono stati particolari effetti avversi in nessuna di queste analisi. Lo studio EBBINGHAUS ha in particolare verificato la mancanza di effetti cognitivi negativi in pazienti trattati con evolocumab. Inoltre sono stati riportati dati presentati la scorsa settimana al Congresso AHA 2017: l’efficacia del trattamento con evolocumab è stata valutata in diverse tipologie di infarto del miocardio, sulle recidive di MI, rivascolarizzazione coronarica e ictus, e in pazienti con arteriopatia periferica. Tutti questi dati suggeriscono che LDL-C può essere ridotto a livelli molto bassi in modo sicuro e con una reale ricaduta positiva sulla malattia CV, senza eccesso di eventi avversi.
Il Prof. A. Zambon (Padova) ha contestualizzato i risultati del FOURIER nella situazione italiana, mettendo a confronto le linee guida europee e le direttive AIFA per la somministrazione di anticorpi monoclonali contro PCSK9 a pazienti con malattia CV o FH, allo scopo di identificare i pazienti che possono maggiormente beneficiare di una terapia ancora ad elevato costo.
Il Prof. Noto (Palermo) ha discusso aspetti importanti sulla iperchilomicronemia familiare o FCS, una rara malattia genetica caratterizzata da livelli molto elevati di TG (>10 mM) che ha spesso come esito pancreatiti anche ricorrenti ed è refrattaria al trattamento con farmaci tradizionali. Mutazioni a carico di diversi geni (tra cui LPL, APOC2, APOA5, LMF1, GBIHBPI1 e GPD1) sono responsabili della malattia. E’ stato definito un algoritmo diagnostico per l’identificazione di sintomi e manifestazioni cliniche potenzialmente associate con FCS. Il Prof. Arca (Roma) ha quindi presentato i risultati dello studio APPROACH, che ha valutato l’effetto di volanesorsen, un oligonucleotide antisenso (ASO) che inibisce la sintesi di apoC-III, in pazienti con FCS. Il trattamento con volanesorsen in 67 pazienti con FCS diagnosticata geneticamente e/o con attività residua di lipoproteina lipasi <20%, storia di pancreatite e valori di TG a digiuno >750 mg/dL, ha portato a una riduzione del 77% dei livelli di TG plasmatici a 3 mesi, con un’elevata percentuale di soggetti che raggiungono valori di TG <750 mg/dL. Inoltre si è ridotta l’incidenza di pancreatiti recidive e intensità e frequenza di dolori addominali riportate dai pazienti trattati. Una forma importante di trombocitopenia ha determinato l’uscita dallo studio di 5 pazienti; questo aspetto deve essere valutato con ulteriori studi.
Infine il Prof. Catapano (Milano) ha approfondito i risultati dello studio REVEAL su anacetrapib. Questo CETP inibitore si è mostrato efficace nell’aumentare i livelli di HDL-C e nel ridurre LDL-C e non-HDL-C. Inoltre si è osservata una riduzione degli eventi cardiovascolari nei pazienti trattati con anacetrapib, che però sembra spiegabile solo con gli effetti di riduzione dei livelli plasmatici di LDL-C. A sostegno di questo risultato, l’osservazione che mentre varianti geniche associate con il solo aumento delle HDL-C non si associano a una protezione CV, quelle che modulano anche i livelli di LDL-C hanno un effetto sugli outcomes cardiovascolari. Importante anche sottolineare il concetto che inibire CETP non aumenta semplicemente i livelli plasmatici di HDL, ma modifica la struttura e la composizione delle lipoproteine stesse, andando probabilmente ad influire su attività delle HDL diverse dal trasporto inverso del colesterolo, quali attività anti-infiammatoria o endotelio-protettiva.
Modena, 22-23 Giugno 2023
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