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Lipidi e insufficienza cardiaca

Roberto Volpe - Servizio di prevenzione e protezione (SPP), CNR, Roma

 

Gli studi che hanno indagato il rapporto tra lipidi e insufficienza cardiaca non sempre hanno fornito risultati univoci. Velagaleti e collaboratori hanno valutato l'incidenza di insufficienza cardiaca in relazione al colesterolo-HDL e al colesterolo-non-HDL in quasi 7.000 soggetti in prevenzione primaria (la cui età media era di 44 anni e oltre la metà erano di genere femminile) partecipanti al Framingham Heart Study. Durante una media di 26 anni di follow-up, 680 soggetti (quasi la metà donne) ha sviluppato insufficienza cardiaca. Essa si è manifestata soprattutto in quei pazienti con più alto colesterolo-non-HDL (?190 mg/dL) e con basso colesterolo-HDL (<40 mg/dL negli uomini, <50 mg/dL nelle donne) versus quelli con più basso colesterolo-non-HDL (<160 mg/dL) e alto colesterolo-HDL (?55 mg/dL negli uomini e ?65 mg/dL nelle donne): 13,8% e 12,8% versus, rispettivamente, 7,9% e 6,1%. Queste differenze sono risultate statisticamente significative anche dopo diversi aggiustamenti. Sembra, quindi, che anche l'alto colesterolo-non-HDL e il basso colesterolo-HDL rappresentino, al pari del fumo, ipertensione arteriosa e diabete un fattore di rischio per lo sviluppo dell'insufficienza cardiaca, indipendentemente dall'associazione con la malattia coronarica. Va aggiunto, ad apparente supporto di questa affermazione, che nei pazienti con alto colesterolo-non-HDL e basso colesterolo-HDL vi era anche un maggior numero di soggetti che erano in trattamento con farmaci in grado di prevenire l'insufficienza cardiaca (beta-bloccanti, diuretici, ACE-inibitori). Inoltre, altri studi (Kannel) hanno evidenziato come anche un elevato rapporto colesterolo totale/colesterolo-HDL o un elevato rapporto apoB/apoA1 o alti valori di trigliceridi e bassi valori di colesterolo-HDL si dimostrino fattori di rischio dell'insufficienza cardiaca.
Tra i possibili meccanismi d'azione va considerato che sia l'alto colesterolo che il basso colesterolo-HDL comportano una situazione pro-infiammatoria (al contrario, le HDL svolgono un'azione anti-infiammatoria). Inoltre, ci sono dati che dimostrano come in pazienti con alto colesterolo e basso colesterolo-HDL si hanno valori di pressione arteriosa più alti, un aumento della rigidità arteriosa, una ridotta compliance vascolare, una alterata funzione diastolica e un aumento della massa ventricolare sinistra.
Wojnicz (Am J Cardiol 2006) ha evidenziato che in pazienti ipercolesterolemici con insufficienza cardiaca non secondaria a malattia coronarica, trattati con atorvastatina si è ottenuto un miglioramento dell'insufficienza cardiaca. Ciò avrebbe un'importante ricaduta clinica nei pazienti sottoposti a terapia ipolipemizzante per il possibile doppio vantaggio terapeutico (prevenzione della malattia coronarica e miglioramento dell'insufficienza cardiaca). Tuttavia, sia lo studio CORONA (Controlled Rosuvastatin Multinational Trial in Heart Failure) che lo studio GISSI-HF (Gruppo Italiano per lo Studio della Sopravvivenza nell'Insufficienza Cardiaca), entrambi condotti con la rosuvastatina in pazienti con insufficienza cardiaca (nel CORONA secondaria a cause ischemiche), non hanno ottenuto un miglioramento di tale patologia.
L'insieme di questi studi sembra suggerire che l'alto colesterolo-non-HDL e il basso colesterolo-HDL rappresentino un fattore di rischio per lo sviluppo dell'insufficienza cardiaca e che l'impiego delle statine può condurre a un duplice vantaggio preventivo-terapeutico, in modo particolare nei soggetti esenti da insufficienza cardiaca secondaria a danno miocardico.

 

Relations of lipid concentrations to heart failure incidence: the Framingham Heart Study

Velagaleti RS, Massaro J, Vasan RS, Robins SJ, Kannel WB, Levy D.

Circulation 2009;120:2345-51

 

 

 

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