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Marcatori genetici e rischio cardiovascolare

Livia Pisciotta - Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Genova

 

 

La familiarità per cardiopatia ischemica prematura è uno dei fattori di rischio maggiori di aterosclerosi e questo per molti anni ha spinto la ricerca ad individuare varianti genetiche che possano avere un ruolo predittivo nella valutazione del rischio cardiovascolare individuale. D'altra parte ogni fattore di rischio maggiore (livelli di LDL, HDL e ipertensione) o emergente (insulino-resistenza, infiammazione, diatesi protrombotica, iperomocisteinemia”¦.) o legato allo stile di vita (metabolismo, tendenza all'obesità) riconosce un'innegabile componente genetica. Le malattie monogeniche, in cui la mutazione patogenetica di un gene candidato costituisce la causa della malattia, costituiscono un modello importante che ha permesso di comprendere a fondo molti meccanismi di regolazione del metabolismo lipidico e ha definito il ruolo di alcuni geni (LDLR, PCSK9, APOB, ABCA1, APOA1”¦) nella genesi di patologie ereditarie ad elevato rischio cardiovascolare. In questo campo è importante continuare a lavorare per estendere le conoscenze per sviluppare nuove strategie terapeutiche. Tutt'altro problema è quello di capire quanto i marcatori genetici siano in grado di modulare significativamente e indipendentemente il rischio cardiovascolare individuale. Prima dell'introduzione dell'approccio "Genome-wide", la ricerca era rivolta allo studio di varianti genetiche comuni di geni coinvolti a vari livelli nel processo aterosclerotico che potessero in qualche modo influenzare il rischio cardiovascolare agendo sull'espressione clinica di un fattore di rischio o un qualunque fenomeno connesso con l'aterogenesi. La produzione scientifica in materia è stata vastissima ma non sempre i risultati sono stati riproducibili e validati: è il caso del gene KIF6, diventato "famoso" nel biennio 2007-2008 in cui riviste autorevoli hanno pubblicato il ruolo della variante W147R nell'aumento del rischio cardiovascolare che veniva drasticamente ridotto dalla terapia con statine esclusivamente nei portatori dell'allele raro, mentre rimaneva immodificato negli omozigoti WW a dispetto della riduzione del LDL-C. Queste pubblicazioni hanno fatto partire, negli USA, la corsa al test genetico in grado di predire il beneficio reale della terapia con statine. Dopo tanti dollari spesi, successivi lavori hanno tassativamente escluso un nesso tra la variante di KIF6 e il rischio cardiovascolare, ridimensionando notevolmente le aspettative di tutti coloro che avevano impegnato risorse nel settore. Indubbiamente occorre maggiore cautela nel trasferire i risultati della ricerca nella pratica clinica. Paternoster et. al., in una recente metanalisi sui polimorfismi genetici correlati all'aumento del CIMT (Carotid-Intima-Media Thickness), ha esaminato 2319 articoli pubblicati disponibili in Medline (dal 1966 al 2007) ed Embase (dal 1980 al 2007) e ha selezionato 384 lavori potenzialmente rilevanti da cui emerge che in solo 5 polimorfismi genetici (APOE-Apolipoprotein E, ACE-angiotensin I converting enzyme, MTHFR, 5,10-methylenetetrahydrofolate reductase, NOS3, nitric oxide synthase3, ADD1-adducin1) la correlazione con il CIMT é stata dimostrata e riprodotta in almeno 2 casistiche indipendenti per un totale di >5000 soggetti. Analizzando tutti i dati disponibili con la valutazione Meta-ANOVA, la significatività (P<0.05) dell'associazione tra genotipo e CIMT rimane solo per 3 varianti genetiche (APOE 2/ 3/ 4, ACE I/D e MTHFR 677C/T). Per questi 3 polimorfismi è stata osservata una certa eterogeneità tra studi in termini di gruppo etnico, rischio cardiovascolare della popolazione studiata, dimensione dello studio. Sono state effettuate diverse sottoanalisi per ridurre questi bias e la conclusione è stata che solo il genotipo del gene APOE mostra una associazione convincente con il CIMT, che aumenta in presenza dell'allele 4 e si riduce in presenza dell'allele 2. Questo risultato si può spiegare da un lato con il fatto che il genotipo APOE influenza la variabilità dei livelli lipidici nella popolazione generale e l'allele 4 si associa a livelli di colesterolo LDL più elevati, livelli di HDL colesterolo più bassi e trigliceridi più alti. Nei portatori dell'allele 4 l'assorbimento intestinale di colesterolo è aumentato così come l'efficienza della conversione delle VLDL in IDL e LDL. I portatori dell'allele 2 hanno livelli di colesterolo LDL più bassi ma una rallentata clearance dei trigliceridi postprandiali rispetto agli altri genotipi. I macrofagi dei portatori dell'allele 4 tendono ad arricchirsi di colesterolo ed a formare più facilmente foam cells rispetto ai macrofagi dei portatori di altri genotipi e questo può spiegare la tendenza al danno vascolare della variante genetica che in alcuni studi si è dimostrata giocare un ruolo indipendente dai livelli di colesterolo. Per quanto concerne l'aumento del CMT ad oggi non sono ancora disponibili studi genome-wide che sono necessari per consolidare o confutare questo risultato ed eventualmente fare emergere nuovi locus genici di interesse predittivo.
Come utilizzare questo dato nella pratica clinica? Ad oggi, nonostante la ricerca sia orientata verso nuovi biomarcatori di danno vascolare, nessun test è in grado di sostituire il "global risk assessment" basato sulla rilevazione della presenza dei fattori di rischio maggiori. Nessun test genetico disponibile in commercio per la valutazione del rischio cardiovascolare è in grado attualmente di predire il destino di un individuo sano. Tuttavia, lo studio del genotipo APOE può essere utile nella valutazione del rischio residuo o nella valutazione di quei casi in cui l'aterosclerosi subclinica o clinicamente manifesta è presente a dispetto dell'assenza di fattori di rischio maggiori.

 

PCSK9 R46L, low-density lipoprotein cholesterol levels, and risk of ischemic heart disease: 3 independent studies and meta-analyses
Benn M, Nordestgaard BG, Grande P, Schnohr P, Tybjaerg-Hansen A.

J Am Coll Cardiol 2010;55:2833-422

 

 

Bibliografia

 

 

Topol EJ, Damani SB. The KIF6 Collapse. Journal of the American College of Cardiology 2010; 56: 1564-1566

 

Liviakis L et al. Carotid intima-media thickness for the practicing lipidologist. Journal of Clinical Lipidology 2010; 4:24-35.

 

Paternoster L. et al. Genetic Effects on Carotid Intima-Media Thickness: Systematic Assessment ad Meta-Analyses of Candidate Gene Polymrphisms Studied in More Than 5000 Subjects. Circulation Cardiovascular Genetics 2010; 3:15-21

 

 

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