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Morbilità e mortalità per malattie cardiovascolari e altre patologie croniche: un quadro mondiale aggiornato

Manuela Casula, Francesco Mozzanica - Centro Interuniversitario di Epidemiologia e Farmacologia Preventiva (SEFAP), Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari (DiSFeB), Università degli Studi di Milano

 

Global Burden of Disease Study: morbilità e mortalità dal 1990 al 2015

Nel mese di Ottobre 2016, sulla rivista The Lancet [1-4] sono stati pubblicati i risultati del terzo Global Burden of Disease Study (GBD), il più grande e completo studio osservazionale su base mondiale. Grazie a 1870 collaboratori, provenienti da 124 paesi, è stata analizzata una serie storica di dati compresa tra il 1990 e 2015, fornendo una descrizione di mortalità e morbilità dovute a malattie gravi, nonché a fattori di rischio per la salute, con uno sguardo sia a livello globale che nazionale. L'obiettivo primario del GBD è di fornire una descrizione approfondita dello stato di salute a livello globale, evidenziando le nuove sfide che i policymakers dovranno affrontate nel 21° secolo.
Rispetto alla vecchia edizione, l'introduzione dell'indice socio-demografico (Socio-demographic Index, SDI) rappresenta una importante novità che contribuisce a migliorare il confronto delle informazioni, soprattutto a livello nazionale. Il precedente metodo prevedeva una classificazione dei paesi nelle categorie "sviluppato" e "in via di sviluppo", mentre attualmente viene utilizzato il nuovo indice SDI, un valore numerico che descrive lo stato di sviluppo di un dato paese grazie alla combinazione di tre fattori: reddito pro-capite, livello di educazione conseguito in soggetti sopra i 15 anni di età e tasso totale di fertilità. Questi fattori, che determinano lo stato di salute di un paese, vengono utilizzati per stimare il tasso di uno specifico outcome (valore atteso), che viene poi confrontato con il tasso osservato. Tale confronto è di particolare utilità per richiamare l'attenzione dei policymakers sugli outcome a maggiore priorità di intervento, per i quali il tasso osservato è peggiore dell'atteso.


A livello globale, dal 1990 al 2015 il tasso di mortalità standardizzato per età ha mostrato una riduzione pari al 28,5% (uncertainty interval [UI] 95% 27,3-29,8). Questo trend è presente anche per la mortalità precoce, espressa come anni di vita persi (Years of Life Lost due to premature mortality, YLL). Infatti, lo studio ha mostrato una riduzione di YLL (sempre standardizzati per età) pari al 34,1% (UI 95% 32,5-35,6) nei maschi e al 42,1% (UI 95% 40,6-43,5) nelle femmine. Anche il tasso di mortalità sotto i cinque anni di vita è diminuito, riducendosi di circa i 2/3 rispetto al 1990. La diretta conseguenza di questi fenomeni è un aumento dell'aspettativa di vita, pari a 10,2 anni nel periodo considerato per l'analisi, con un ritmo di crescita superiore alle aspettative per entrambi i generi.


Un disamina più approfondita dei dati descritti dal GBD offre interessanti spunti di riflessione e discussione per affrontare al meglio gli scenari futuri. Nei paesi aventi più basso SDI si è assistito ad un miglioramento delle condizioni di salute dovuto soprattutto ad una contrazione del tasso di mortalità per le malattie infettive, neonatali e gravidiche e per i deficit nutrizionali, essendo queste condizioni più frequenti nei paesi meno sviluppati. Nonostante questa sia da considerarsi una notizia positiva, essa è alla base della ormai nota "transizione epidemiologica" con un aumento dell'età media e quindi dell'incidenza di malattie non infettive: i paesi a più basso SDI si trovano ad affrontare problematiche sanitarie simili a quella dei paesi più sviluppati, con un aumento del carico di salute globale dovuto a malattie non trasmissibili. Infatti, osservando a livello mondiale gli anni di vita in salute persi (DALY), una misura che tiene conto sia della morte prematura che della disabilità in conseguenza della malattia, emerge una chiara riduzione di DALY a carico delle malattie infettive con un contemporaneo aumento dovuto alle patologie non infettive.

Nel 2015, il 32,1% (UI 95% 31,7-32,6) dei casi di morte a livello globale era riconducibile a malattie cardiovascolari, confermando così la classifica stilata nel 1990 che riportava proprio come prima causa di morte globale tale outcome. Di questo numero di morti, l'85,1% (UI 95% 84,7-85,5) era dovuto a malattia ischemica cardiaca e ictus. Osservando il trend negli anni precedenti al 2015, nonostante il numero assoluto di morti sia aumentato del 12,5% (UI 95% 10,6-14,4), il tasso di mortalità standardizzato per età dovuto a malattie cardiovascolari si è ridotto del 15,6% (UI 14,2-16,9), una decrescita per lo più guidata dalla riduzione della mortalità per eventi cerebrovascolari. Considerato l'elevato impatto a livello mondiale delle patologie cardiovascolari, la riduzione in termini di tasso di mortalità standardizzato ha contribuito in maniera consistente all'aumento dell'aspettativa di vita. Il merito è senz'altro dovuto all'attuazione di interventi sanitari in grado di prevenire e trattare sempre più efficacemente tali malattie, generando però una cronicizzazione della patologia. Tale effetto risulta evidente guardando la classifica delle malattie in base al numero di DALY prodotti. In particolare, dal 1990 al 2015 le malattie cardiovascolari sono passati dalla terza alla prima posizione, quindi gli anni di vita guadagnati grazie agli interventi sulle patologie del sistema cardiovascolare non sono stati necessariamente tutti in salute.

Dalla medesima classifica emerge che, nei confronti di tutti gli altri outcome, le malattie cardiovascolari hanno un maggior impatto in termini di mortalità prematura che di disabilità, sia nel 1990 che nel 2015. Tale evidenza potrebbe dipendere dalla natura stessa di tali patologie, ma potrebbe essere anche una conseguenza della transizione epidemiologica a carico dei paesi con un SDI medio-basso. Infatti, si può osservare che i tassi di YLL da malattia ischemica cardiaca erano bassi nei paesi con SDI basso, per poi aumentare in maniera costante al crescere dell'indice SDI, mostrando un riduzione solo per gli stati più sviluppati, probabilmente grazie al miglioramento della prevenzione e del trattamento. Quindi si può ipotizzare che le persone che vivono nei paesi inclusi nell'intervallo centrale dell'indice sociodemografico, in seguito alla riduzione dell'incidenza delle malattie infettive, abbiano subito un allungamento della vita media tale da consentire lo sviluppo di malattia cardiache, ma non abbiano avuto accesso a trattamenti medici e/o chirurgici ottimali.

Meritevole di attenzione è il confronto, in termini di malattia ischemia cardiaca, tra i paesi dell'Europa dell'Est e quelli dell'Ovest. Al 1990, la Danimarca era la nazione con la performance peggiore, in quanto essa mostrava un rapporto osservato/atteso del tasso di DALY per le malattie cardiovascolari pari a 1,51. Nella regione orientale, invece, la nazione a performance peggiore era la Russia, mostrando un valore osservato 2,24 volte più grande dell'atteso. Dal 1990 al 2015 entrambe le regioni hanno visto aumentare il proprio SDI, passando da 0,74 a 0,84 per l'area orientale e da 0,76 a 0,87 per quella occidentale. Tuttavia, nonostante un trend simile di miglioramento del quadro socio-demografico, solo le nazioni occidentali ne hanno tratto beneficio con una riduzione del rapporto osservato/atteso (per DALY da malattia cardiovascolare) a valori al di sotto di 1, mentre la maggioranza delle nazioni orientali ha subito un peggioramento o nessuna variazione dello stesso rapporto. In particolare, la Bielorussia è passata da 1,66 nel 1990 a 3,19 nel 2015, la Russia da 2,24 a 3,17 e l'Ucraina da 1,74 a 2,59. Le possibili cause di questa situazione non sono di immediata comprensione; tuttavia, sulla base dei dati disponibili è possibile avanzare alcune ipotesi. La peggior situazione al basale a carico delle nazioni orientali potrebbe indicare una transizione epidemiologica già in corso, con un graduale aumento della vita media e un forte incremento dell'incidenza di malattie cardiovascolari, non accompagnato da un adeguata risposta dei servizi sanitari. Questo aspetto assume maggior valore se si considerano le diverse situazioni economico-sociali che hanno interessato le due aree geografiche nei decenni precedenti all'inizio dell'osservazione. Del resto, l'indice socio-demografico potrebbe non riuscire a spiegare in maniera esaustiva le dinamiche economico-sociali, portando a valori attesi lontani dalla realtà.

Guardando alla frazione di morti per causa cardiovascolare attribuibile all'esposizione ad un determinato fattore di rischio, si possono evidenziare interessanti spunti di riflessione. Come atteso, in Europa occidentale tale valore si è ridotto dal 1990 al 2015 per tutte le macro classi di fattori di rischio (ambientale, comportamentale e metabolica), situazione che differisce da quella dei paesi della zona orientale, in cui non si sono osservati cambiamenti rilevanti, ad eccezione dei fattori di rischio ambientali, che hanno mostrato una riduzione nel tempo. Osservando i singoli fattori di rischio, tale trend risulta essere ancora evidente, pur presentando una macroscopica differenza tra le due regioni europee a livello dei fattori di rischio comportamentali. In particolare, nell'Europa orientale in tutti gli anni di osservazione è sempre evidente una quota di morti per causa cardiovascolare attribuibile all'uso di alcool, tuttavia tale fattore di rischio è del tutto assente per i paesi della regione occidentale.


In Italia, la situazione in termini di morti dovuti a malattie cardiovascolari è in linea con la classifica mondiale, risultando la prima causa di morte durante tutto il periodo di osservazione, pur mostrando una riduzione percentuale del 10,84% (da 42,12% morti per cause cardiovascolari sul totale dei decessi nel 1990 a 37,56% nel 2015). Un ulteriore progresso è stato osservato per la morte prematura da malattie cardiovascolari. Infatti, rispetto alla classifica stilata in base al totale di YLL per qualsiasi causa, l'outcome cardiovascolare, che occupava la prima posizione nel 1990, risulta al secondo posto nel 2015, con un miglioramento del 7,43%. Come già spiegato per il dato globale, il raggiungimento di questi traguardi, legato all'uso di terapie sempre più avanzate, comporta una cronicizzazione della malattia con un conseguente peggioramento in termini di disabilità.

Nonostante gli importanti traguardi raggiunti sul fronte cardiovascolare, uno sguardo ai fattori di rischio attribuibili a tale outcome potrebbe fornire utili indicazioni su dove concentrare maggiormente gli sforzi futuri. All'interno della classifica dei fattori di rischio responsabili delle morti per cause cardiovascolari in Italia, le prime tre posizioni, occupate rispettivamente da ipertensione sistolica, dieta ed elevati livelli di colesterolo totale, non hanno subito variazioni di classifica durante il periodo 1990-2015. Da segnalare, i livelli di colesterolo non sono stati valutati in base alla quota trasportata dalle LDL, risultando in una possibile sottostima del rischio di malattia cardiovascolare attribuibile al colesterolo. D'altra parte, complessivamente, la frazione di morti per causa cardiovascolare attribuibile a questi tre i fattori di rischio ha mostrato un miglioramento durante l'intero periodo di osservazione, con una riduzione maggiore per l'ipertensione arteriosa (18,33%), seguita dai livelli elevati di colesterolo totale (13,56%) e dalla dieta (7,08%). Un trend di riduzione simile, sebbene con valori assoluti diversi, è stato mostrato anche per i fattori di rischio attribuibili ai DALY da malattia cardiovascolare. Questo suggerisce che gli interventi promossi fino ad ora nel tentativo di ridurre l'esposizione a tali fattori di rischio hanno dato risultati positivi in termini di morbilità e mortalità, ma la permanenza di fattori di rischio modificabili ai vertici della classifica conferma la necessità di continuare gli sforzi.


La mole di dati elaborati dal gruppo GBD è enorme e fornisce numerose informazioni che non sono state riportate nel presente articolo. Oltre alla bibliografia, per ogni tipo di approfondimento si rimanda al sito web (https://vizhub.healthdata.org/gbd-compare/) dell'Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME) che offre gratuitamente lo strumento GBD compare, il quale consente di visualizzare i risultati dello studio, personalizzando la ricerca per paese, età, sesso, outcome e fattori di rischio.

 

 

 

Global, regional, and national life expectancy, all-cause mortality, and cause-specific mortality for 249 causes of death, 1980-2015: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2015
GBD 2015 Mortality and Causes of Death Collaborators
Lancet 2016; 388:1459-1544


Global, regional, and national incidence, prevalence, and years lived with disability for 310 diseases and injuries, 1990–2015: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2015
GBD 2015 Mortality and Causes of Death Collaborators
Lancet 2016; 388:1545-1602


Global, regional, and national comparative risk assessment of 79 behavioural, environmental and occupational, and metabolic risks or clusters of risks, 1990-2015: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2015
GBD 2015 Mortality and Causes of Death Collaborators
Lancet 2016; 388:1659-1724


Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME). Rethinking Development and Health: Findings from the Global Burden of Disease Study. Seattle, WA: IHME, 2016

 


 

 

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