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Notizie dal 31° Congresso Nazionale SISA - 21 novembre


Il Prof. M. Averna (Palermo) ha descritto il network italiano LIPIGEN, creato per facilitare, su tutto il territorio nazionale, la diagnosi delle dislipidemie genetiche; questo dovrebbe consentire di migliorare l’identificazione e di conseguenza il trattamento di pazienti affetti da dislipidemie genetiche, creare un registro nazionale di pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare e non ultimo promuovere la ricerca in questo campo. Il network coinvolge circa 40 centri clinici italiani, prevede una stretta interazione con i medici di base e comprende anche una associazione di pazienti. Questi soggetti vengono genotipizzati utilizzando un pannello di geni noti per il loro coinvolgimento nel metabolismo di LDL-C. Un aspetto importante è che nel 19% dei soggetti che sono stati genotipizzati non è stata riscontrata alcuna mutazione nei geni analizzati; questa osservazione può significare un possibile coinvolgimento di geni non ancora identificati come causali, oppure che possa essere il risultato di più varianti geniche il cui effetto singolo può essere piccolo ma se presenti contemporaneamente possono dare un fenotipo simile a quello riscontrato con le mutazioni a carico dei geni comunemente associati a FH (“burden poligenico”). Un altro aspetto importante può essere la possibilità di identificare una popolazione sommersa di FH mediante l’analisi di referti in laboratori specializzati (ad esempio considerando soggetti che mostrino valori di LDL-C superiori a una soglia definita). Gli scopi futuri di LIPIGEN sono molteplici e comprendono l’identificazione di nuovi geni, la farmacogenomica, la stratificazione secondo il rischio cardiovascolare e l’identificazione di pazienti con rischio estremo.

 

Il Prof. N. Mata (Madrid) ha portato invece l’esperienza del registro spagnolo SAFEHEART (Spanish Familial Hypercholesterolemia Cohort Study), composto da una coorte di pazienti con diagnosi genetica di FH con o senza malattia cardiovascolare ma che include anche familiari non affetti da FH. Anche questo registro prevede una collaborazione tra centri clinici e medici di base e permette di ottenere sia dati clinici che campioni di sangue. Grazie a questo progetto sono state identificate 194 varianti, di cui 24 nuove; la maggior parte di queste varianti sono risultate patogeniche. Si è osservato che, nonostante i valori di LDL-C si sono ridotti dal momento dell’ingresso nel registro al follow-up (da 163 mg/dL a 137 mg/dL) e questo a dispetto di una terapia ipocolesterelomizzante è molto complesso riuscire a portare questi soggetti al goal indicato in base alle linee guida, suggerendo  la necessità di introdurre nuovi farmaci. Dato che si è stimato che ogni 6 FH identificati si evita 1 evento coronarico (fatale o non-fatale), è evidente come questi programmi possano avere anche delle ricadute economiche importanti. Infine, l’analisi di questa coorte ha permesso di stabilire che i maggiori predittori di malattia cardiovascolare nei pazienti FH sono età, storia di evento pregresso, valori di LDL-C> 100 mg/dL se trattati (e ancora di più se >160 mg/dL), ma anche ipertensione, BMI, elevati livelli di Lp(a).

 

Il Dr. E. Salas (Ferrer InCode) ha sottolineato la possibilità di usare i test genetici per l’identificazione di soggetti ad aumentato rischio CV. Spesso si hanno infatti eventi coronarici in popolazioni considerate a basso o moderato rischio. Gli studi di GWAS hanno permesso di identificare molte varianti associate a malattia coronarica, ma l’associazione è bassa. L’introduzione di un genetic risk score (GRS), che “riassume” il grado di esposizione a più varianti geniche, dovrebbe migliorare la predittività del rischio cardiovascolare: più alto è il valore di RGS, più alto è il rischio coronarico. L’aggiunta di un fattore di rischio a GRS (per definire il clinic genetic risk score) permette ulteriormente di discriminare i soggetti con rischio concreto di andare incontro ad evento coronarico e soprattutto permette di riclassificare i soggetti, spesso passando da basso rischio a moderato o da moderato ad elevato, consentendo così di modificare il livello di intervento farmacologico. Questo può aver anche una ricaduta positiva sull’aderenza alla terapia.

 

La Prof.ssa M.G. Zenti (Verona) ha infine discusso il ruolo del procedimento di aferesi alla luce dei più recenti dati sui farmaci ipocolesterolemizzanti. L’aferesi è indicata per alcune categorie di pazienti, quali HoFH,  HeFH o in soggetti con elevati livelli di Lp(a). I risultati ottenuti con gli anticorpi monoclonali contro PCSK9 permettono di sospendere l’aferesi in alcuni di questi pazienti, come mostrato dallo studio TAUSSIG con evolocumab in HoFH o dallo studio ESCAPE con alirocumab in HeFH. Anche nell’esperienza italiana è stato possibile ottenere risultati di questo tipo. Per quanto riguarda i soggetti con elevati livelli di Lp(a), l’aferesi è efficace ed è l’unico approccio in caso di iper-Lp(a) isolata, in quanto non esistono farmaci in grado di ridurre specificamente squesta lipoproteina. In caso di elevati livelli di Lp(a) associati ad alti livelli di LDL-C, è prevesto intervento farmacologico con statine, ezetimibe, o anticorpi contro PCSK9 e aferesi

 

 

 

 

 

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