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Iperglicemia e rischio di ictus e infarto del miocardio

Giuseppe Derosa - Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica, Università di Pavia, Fondazione IRCCS, Policlinico S. Matteo, Pavia


Una delle sfide più importanti e attuali della diabetologia è quella di riuscire a capire se un alterato metabolismo glicemico sia da solo in grado di influenzare la mortalità in termini di malattie cardiovascolari. Un tale argomento è difficile da dimostrare, in quando, se un nesso causale c'è, è apparentemente di piccola entità e richiede una numerosità campionaria molto ampia e un lungo monitoraggio nel tempo. In tal senso, un gruppo di studio coreano, diretto da Joohon Sung, ha pubblicato, di recente, un lavoro portato avanti per ben nove anni su 652.901 individui di sesso maschile, fornendosi della collaborazione del sistema assicurativo nazionale. A ciascuno di questi individui veniva eseguita una glicemia basale e, successivamente, i soggetti venivano seguiti nel tempo, per un periodo di follow up medio di 8,8 anni, al fine di identificare infarti del miocardio ed ictus cerebrali ischemici o emorragici. Al completamento del periodo di follow up la popolazione è stata suddivisa in vari gruppi a seconda del valore di glicemia basale riportata. Ad una iniziale analisi si evinceva un legame stretto tra valori glicemici e infarto del miocardio, ictus ischemico o emorragico. Tuttavia, quando i dati venivano aggiustati per gli altri fattori di rischio cardiovascolare e condizione socio economica, la correlazione tra glicemia e infarto del miocardio o ictus emorragico si riduceva di molto, rimanendo significativa solo per glicemie basali superiori ai 135 mg/dl. Per quanto riguarda l'ictus ischemico invece essa persisteva con una correlazione lineare significativa a partire dai 101 mg/dl. Quando si rianalizzavano i dati, escludendo gli individui con anamnesi positiva per diabete mellito, il dato non si modificava. Secondo quanto messo in luce da questo studio, esisterebbe una correlazione più stretta tra metabolismo glucidico e ictus ischemico, essendo presente anche quando il paziente si trova in uno stadio di alterata glicemia a digiuno o di ridotta tolleranza glucidica, mentre la correlazione tra valori glicemici e rischio di infarto del miocardio e ictus emorragico è presente solo se sussiste uno stato di diabete mellito. Una tale differenza di relazione potrebbe essere in parte spiegata dal fatto che l'ictus ischemico è maggiormente legato ad alterazioni microvascolari che concorrono allo sviluppo di infarti lacunari, mentre la malattia ischemica cardiaca è più prettamente di tipo macrovascolare. I meccanismi fisiopatogenetici che potrebbero spiegare la relazione tra iperglicemia e danno macrovascolare sono numerosi: un incremento glicemico determina una disfunzione endoteliale, genera uno stress ossidativo e comporta uno stato procoagulante. Lo studio condotto da Joohon Sung entra, tuttavia, in apparente discordanza con i più recenti studi condotti della comunità scientifica nell'analizzare il nesso tra valori glicemici ed eventi cardio-cerebrovascolari. Tali studi sono: l'UKPDS, il VADT, l'ADVANCE e l'ACCORD, condotti tutti sulla popolazione diabetica. L'UKPDS mostrava una riduzione del 16% del rischio d'infarto del miocardio e morte cardiaca improvvisa per valori glicemici minori, che tuttavia non raggiungeva la significatività statistica (P=0.052). Gli altri tre studi sono invece successivi all'UKPDS e hanno generato grande sgomento nel mondo della diabetologia. L'obiettivo di questi studi era di comparare un trattamento ipoglicemizzante intensivo con un trattamento ipoglicemizzante convenzionale in termini di riduzione di rischio cardio-vascolare. La differenza di emoglobina glicata tra il gruppo in terapia intensiva e quello in terapia convenzionale nei vari studi era rispettivamente: 7%-7.9% nell'ACCORD; 6.3%-7.0% nell'ADVANCE e 6.9%-8.4% nel VADT. A sorpresa tutti e tre gli studi non hanno evidenziato una riduzione degli eventi cardiovascolari nel gruppo trattato con terapia intensiva. Non solo ma l'ACCORD e il VADT hanno messo in evidenza un incremento degli eventi cardiovascolari nei pazienti in terapia intensiva. Una delle principali spiegazioni data per giustificare un tale risultato consiste nel maggior numero di episodi ipoglicemici presenti nei gruppi in terapia intensiva. L'ipoglicemia determina, infatti, un'attivazione simpato-adrenergica ed un rilascio di citochine infiammatorie che potrebbero avere un ruolo nella genesi dell'infarto del miocardio. Tuttavia, dopo l'iniziale stupore, ad una più attenta lettura, il significato dei sopracitati studi è stato rivalutato dalla comunità scientifica. Una recente metanalisi, condotta da Ray et al, e pubblicata su Lancet, ha rielaborato i dati di cinque studi (UKPDS, PROactive,VADT, ADVANCE ed ACCORD) portando a nuovi risultati. Tale metanalisi comparava il trattamento ipoglicemizzante intensivo rispetto a quello convenzionale studiando un totale di 33.040 soggetti e un follow up totale di circa 163.000 anni-persona per eventi cardio- e cerebrovascolari. La differenza di emoglobina glicata tra i due gruppi era di 0,9%. Il trattamento ipoglicemizzante intensivo ha significativamente ridotto i casi di infarto miocardico non fatale del 17% (OR 0,83; IC 95% 0,75-0,93) e del 15% gli eventi in termini di malattia coronarica (OR 0,85; 0,77-0,93); tuttavia non ha influenzato significativamente l'ictus (0.93, 0.81-1.06) o la mortalità per tutte le cause (1.02, 0.87-1.19). Tali risultati sono in linea con quelli conferiti dallo studio UKPDS (facente peraltro parte della metanalisi). Concludendo possiamo dire la forza dello studio di Sung è sicuramente il grande numero di partecipanti, che ne fa uno dei più grandi studi di popolazione presenti sull'argomento. Tuttavia gran parte della popolazione era giovane e lo studio non includeva donne. E' possibile che una popolazione con un'età media maggiore e con maggiori comorbilità possa dare un risultato più accurato, in quanto fornirebbe un numero di eventi maggiore. Il dato ottenuto da questo studio per quanto riguarda l'infarto del miocardio è in linea con i dati dello studio UKPDS, mentre il dato relativo all'ictus ischemico trova meno supporto nella letteratura. Nello stesso UKPDS l'infarto del miocardio aveva un rischio maggiore rispetto all'ictus ischemico per valori glicemici via via più elevati. Sono necessari dunque ulteriori studi epidemiologici per confermare i dati ottenuti sull'infarto del miocardio e per verificare se è effettivamente presente un nesso così forte tra ictus ischemico e iperglicemia come evidenziato dallo studio coreano.

 

 

 

Fasting Blood Glucose and the Risk of Stroke and Myocardial Infarction

Joohon Sung, Yun-Mi Song, Shah Ebrahim and Debbie A. Lawlor.

Circulation 2009;119;812-819

 

Dysglycemia and cardiovascular risk in the general population

Gerstein HC.

Circulation 2009;119:773-5 - Editorial: No abstract available

 

Effect of intensive control of glucose on cardiovascular outcomes and death in patients with diabetes mellitus: a meta-analysis of randomised controlled trials

Ray KK, Seshasai SR, Wijesuriya S, Sivakumaran R, Nethercott S, Preiss D, Erqou S, Sattar N.

Lancet 2009;373:1765-72

 

 

 

Bibliografia:


Association of glycaemia with macrovascular and microvascular complications of type 2 diabetes (UKPDS 35): prospective observational study

Stratton IM, Adler AI, Neil HA, Matthews DR, Manley SE, Cull CA, Hadden D, Turner RC, Holman RR.

BMJ 2000;321:405-12

 

Intensive blood glucose control and vascular outcomes in patients with type 2 diabetes

ADVANCE Collaborative Group, Patel A, MacMahon S, Chalmers J, Neal B, Billot L, Woodward M, Marre M, Cooper M, Glasziou P, Grobbee D, Hamet P, Harrap S, Heller S, Liu L, Mancia G, Mogensen CE, Pan C, Poulter N, Rodgers A, Williams B, Bompoint S, de Galan BE, Joshi R, Travert F.

N Engl J Med 2008;358:2560-72

 

Glucose Control and Vascular Complications in Veterans with Type 2 Diabetes

Duckworth W, Abraira C, Moritz T, Reda D, Emanuele N, Reaven PD, Zieve FJ, Marks J, Davis SN, Hayward R, Warren SR, Goldman S, McCarren M, Vitek ME, Henderson WG, Huang GD; the VADT Investigators.
N Engl J Med 2009;360:129-139


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