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Controllo pressorio e terapia di associazione: due più due fa sempre quattro?

Giacomo Pucci - Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Perugia

 

"Quasi inconsciamente scrisse con le dita sul tavolo coperto di polvere: due più due uguale cinque" (George Orwell, Nineteen Eighty-Four).

Quale strada percorrere per ottenere un miglior controllo pressorio? Qual' è la classe farmacologica di scelta? Ed in caso di fallimento della monoterapia, quando è il momento di associare un secondo farmaco anti-ipertensivo? Decisioni tutt'altro che scontate nella gestione del paziente iperteso, se si considera l'ampia varietà di classi farmacologiche e la sempre più crescente disponibilità (di pari passo con la scadenza dei brevetti) di farmaci con combinazioni di principi attivi. A ciò si aggiunge il problema della non risposta alla terapia, che riguarda più della metà degli ipertesi di grado II e III (pressione arteriosa >160/100 mmHg), non in grado di raggiungere l'obiettivo pressorio <140/90 mmHg con la monoterapia.

Gli argomenti sono stati recentemente affrontati da Wald e colleghi in una metanalisi pubblicata sull'American Journal of Medicine nel mese di Marzo 2009. Gli autori hanno analizzato 47 trial randomizzati controllati per un totale di circa 10.300 pazienti, nei quali veniva confrontata head to head l'efficacia in termini di riduzione pressoria di diuretici tiazidici, inibitori del sistema renina-angiotensina, Ca++antagonisti e β-bloccanti utilizzati a dose piena, in monoterapia rispetto alle rispettive combinazioni di associazione. Lo studio sembrerebbe confermare una sostanziale equivalenza di efficacia tra le sopracitate classi di farmaci antiipertensivi, ed evidenzia che l'associazione di un secondo farmaco a dose standard, indipendentemente dalla classe, ne raddoppia l'efficacia. Al contrario, sorprendentemente, raddoppiare la dose del singolo farmaco sembrerebbe produrre solamente un quinto dell'efficacia attesa.

In una seconda ampia e corposa metanalisi, pubblicata sul British Medical Journal a Maggio 2009, che include 147 trials randomizzati e controllati (circa 460.000 pazienti inclusi, 52.000 eventi) di farmaci anti-ipertensivi in prevenzione cardio- e cerebrovascolare (cardiopatia ischemica e stroke), gli stessi autori offrono ulteriori spunti di approfondimento. Un obiettivo del lavoro è infatti quello di confrontare l'effetto delle varie classi di farmaci in monoterapia ed in associazione, in relazione al dosaggio, alla PA pre-trattamento ed all'età. Dai risultati emerge che la combinazione di tre farmaci a dosaggio dimezzato rispetto alla dose standard, indipendentemente dalla classe farmacologica di appartenenza, sembrerebbe associarsi ad una protezione da eventi rispetto alla monoterapia superiore di circa l'80%. In altre parole: se in un soggetto di 60-70 anni con PA>150/90 mmHg, la riduzione pressoria che si ottiene con la monoterapia riduce il rischio assoluto di cardiopatia ischemica di circa il 24% e di stroke del 33%, tali valori salirebbero rispettivamente al 45% ed al 60% utilizzando un'associazione di 3 classi di farmaci a dosaggio dimezzato. Il beneficio in proporzione sembrerebbe essere inoltre indipendente dalla PA pre-trattamento e dall'età. Va tuttavia menzionato che l'analisi limita l'inclusione ai trials pubblicati prima del Dicembre 2007, escludendo in tal modo due importanti trials come l'ONTARGET e l'ACCOMPLISH, entrambi di recente pubblicazione e molto validi allo scopo di definire le potenzialità ed i limiti delle varie associazioni di farmaci anti-ipertensivi.

Le grandi dimensioni della metanalisi, pur prestando il fianco ad inevitabili limitazioni di interpretazione (inclusione di studi clinici estremamente eterogenei per popolazione, disegno, durata ed end-point), hanno permesso di far luce su altri importanti interrogativi riguardanti la gestione del paziente iperteso. Un secondo interessante obiettivo della metanalisi prende in considerazione i benefici delle principali classi di anti-ipertensivi indipendentemente dalla riduzione pressoria. Gli autori concludono che non vi sono evidenze sufficienti per dimostrare in nessuna delle principali classi di anti-ipertensivi, possibili benefici aggiuntivi indipendenti dalla riduzione pressoria: la sola riduzione della pressione arteriosa è in grado di spiegare l'efficacia della terapia anti-ipertensiva in termini di protezione cardiovascolare. L'unica eccezione è tuttavia costituita dai β-bloccanti, che a parità di riduzione pressoria risultano essere più efficaci delle altre classi nel prevenire la recidiva di eventi cardiaci nello specifico gruppo di soggetti con documentata coronaropatia.

Le recenti evidenze sembrerebbero pertanto rafforzare i risultati dello studio ALLHAT, che per primo ha mostrato l'equivalenza di efficacia tra le quattro grandi classi di farmaci anti-ipertensivi, quali diuretici tiazidici, inibitori del sistema renina-angiotensina, Ca++ antagonisti e β-bloccanti, nei soggetti ipertesi ad elevato rischio cardiovascolare. In una recente rivisitazione dello studio condotta dagli autori dell'ALLHAT e pubblicata su Archives of Internal Medicine nel mese di Maggio, si evidenzia come i risultati siano confermati anche alla luce di tutti i dati emersi dai recenti grandi trials. In sostanza, a distanza di 10 anni dalla loro pubblicazione, le conclusioni dello studio ALLHAT sembrerebbero tutt'altro che superate.

Quali novità emergono da tali lavori? Si rafforza il concetto che la protezione cardiovascolare del soggetto iperteso è direttamente proporzionale alla riduzione dei valori pressori, indipendentemente dalla classe di farmaco utilizzata (con l'eccezione dei β-bloccanti nei soggetti con cardiopatia ischemica). Si conferma, inoltre, la sostanziale equivalenza di efficacia e di protezione cardiovascolare tra le principali classi di farmaci anti-ipertensivi, di scelta nel paziente iperteso senza altre comorbidità. Si fa strada, inoltre, il concetto che l'associazione di due o più classi di farmaci sia indiscutibilmente più vantaggiosa rispetto alla monoterapia, sia in termini di controllo pressorio che di protezione cardio- e cerebrovascolare. Non è poi da trascurare l'evidenza che la gran parte degli effetti collaterali dei farmaci anti-ipertensivi è strettamente dose-dipendente (in particolar modo per i diuretici tiazidici ed i β-bloccanti), e che l'utilizzo di farmaci in associazione a basso dosaggio riduce il rischio di effetti collaterali.

Ciò non sorprende, se si guarda all'ipertensione come ad una patologia indiscutibilmente multifattoriale, e che i "semplici" valori misurati di PA sistolica e diastolica altro non sono che l'epifenomeno di diverse e complesse condizioni fisiopatologiche convergenti (sistema renina-angiotensina, resistenze periferiche totali, rigidità delle grandi arterie, disfunzione endoteliale, etc.). Interferire contemporaneamente con più percorsi fisiopatologici sembra pertanto un approcio corretto ed efficace nel paziente iperteso, per il quale il beneficio complessivo non è rappresentato dalla semplice somma dell'efficacia dei singoli principi attivi, ma anche da una riduzione del rischio di effetti collaterali, per il quale, cioè, è possibile che due più due faccia cinque.

 

 

Combination therapy versus monotherapy in reducing blood pressure: meta-analysis on 11,000 participants from 42 trials

Wald DS, Law M, Morris JK, Bestwick JP, Wald NJ.

Am J Med 2009;122:290-300

 

Use of blood pressure lowering drugs in the prevention of cardiovascular disease: meta-analysis of 147 randomised trials in the context of expectations from prospective epidemiological studies

Law MR, Morris JK, Wald NJ.

BMJ 2009;338:b1665

 

ALLHAT findings revisited in the context of subsequent analyses, other trials, and meta-analyses

Wright JT Jr, Probstfield JL, Cushman WC, Pressel SL, Cutler JA, Davis BR, Einhorn PT, Rahman M, Whelton PK, Ford CE, Haywood LJ, Margolis KL, Oparil S, Black HR, Alderman MH; ALLHAT Collaborative Research Group.

Arch Intern Med 2009;169:832-42

 

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