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Variazione della mortalità in diabetici e non diabetici negli ultimi 55 anni. Dati da Framingham

Giuseppe Derosa - Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica, Università di Pavia, Fondazione IRCCS, Policlinico S. Matteo, Pavia

 

Un recente lavoro condotto da Sarah Preis e Caroline Fox, e pubblicato su Circulation, ha analizzato l'andamento della mortalità della popolazione diabetica rispetto alla non diabetica negli ultimi 50 anni. Per fare ciò i ricercatori di Boston si sono serviti del Database del famoso "Framingham Heart Study". Hanno diviso i dati in due gruppi temporali: uno andava dal 1950 al 1975 e il secondo dal 1976 al 2001. In questo lasso temporale è stata quindi stimata la mortalità per tutte le cause e la mortalità per cause cardiovascolari nei diabetici e nei non diabetici. Il numero di individui analizzato è stato pari a circa 78000 tra diabetici e non diabetici. Per individuare i pazienti diabetici nella banca dati sono stati utilizzati i seguenti criteri: glicemia casuale >200 mg, glicemia basale >126 mg/dl o terapia ipoglicemizzante. Dall'analisi dei dati si è messo in evidenza come in questo lasso di tempo si sia verificata una notevole riduzione di mortalità per tutte le cause e per eventi cardiovascolari sia nei pazienti diabetici che nei non diabetici. Tra il primo gruppo (1950-1975) e il secondo gruppo (1976-2001) si è registrata una riduzione del 40% della mortalità per tutte le cause nel gruppo non diabetico e del 48% nel gruppo diabetico. La riduzione di mortalità per malattia cardiovascolare è stata invece del 62% nei pazienti non diabetici, e del 69% nei pazienti diabetici. Nel tempo il rischio di morte per eventi cardiovascolari che si accompagna al diabete mellito si è ridotto, passando da un rischio relativo di 5.08 a 3.49 negli uomini e da 2.95 a 2.35 nelle donne. Ad averne beneficiato maggiormente sono stati proprio i diabetici che per definizione hanno un rischio cardiovascolare maggiore. Quando si è andati a valutare la mortalità per cause non cardiovascolari si è visto che nella popolazione non diabetica la mortalità si è ridotta del 19%, soprattutto nelle donne, cosa che non si è verificata invece nel gruppo dei diabetici. In sostanza, mentre le donne non diabetiche hanno visto ridurre la mortalità per cause non cardiovascolari, le donne diabetiche non hanno avuto questo beneficio nel tempo. La riduzione della mortalità per tutte le cause nei diabetici è pertanto trainata dalla riduzione degli eventi cardiovascolari. Gli autori dello studio hanno successivamente rielaborato i dati in maniera tale che fossero confrontabili con quelli di un altro importante studio di mortalità della popolazione diabetica, che è lo studio "NHANES", nel quale sono stati studiati più di ottomila individui. Lo studio NHANES paragona tre periodi di tempo identificati dagli anni 1971-1975, 1976-1980 e 1988-1994. La più importante differenza riscontrabile tra i due è che nei dati dello studio NHANES si osserva una tendenza in discesa sia della mortalità per tutte le cause che per eventi cardiovascolari, ma che tuttavia non raggiunge una significatività statistica, come accade con i dati dello studio Framingham. A rendere più significativi i dati ottenuti con lo studio Framingham è sicuramente il numero maggiore di partecipanti. Anche lo studio NHANES mette in evidenza come nei diabetici non si sia verificata una riduzione della mortalità per cause non cardiovascolari. Il contributo maggiore offerto dallo studio di Preis e Fox è quello di sottolineare come il miglioramento della prognosi dei diabetici sia interamente da attribuire alla riduzione della mortalità cardiovascolare. Alla base di questo fenomeno c'è sicuramente la presa di coscienza di quelli che sono i fattori di rischio cardiovascolari, a cui lo stesso studio di Framingham ha apportato un contributo essenziale. L'utilizzo della terapia antiaggregante nel diabetico, la scoperta delle statine nella seconda metà degli anni settanta e quella dei farmaci antipertensivi negli anni ottanta, con loro successivo impiego a partire dalla seconda metà degli anni ottanta hanno contribuito in maniera rilevante alla prevenzione primaria e secondaria degli eventi cardiovascolari. Un ulteriore contributo è stato poi fornito dai progressi nella gestione delle sindromi coronariche acute e in particolar modo dall'introduzione delle tecniche di riperfusione coronarica sia farmacologica sia invasiva. Sembra invece che siamo ancora ben lontani dal controllare le complicanze micro-vascolari del diabete, che sono tra le principali protagoniste della mortalità non cardiovascolare che, come si è visto non ha subito modificazioni significative nel tempo.

 

 

 

Trends in all-cause and cardiovascular disease mortality among women and men with and without diabetes mellitus in the Framingham Heart Study, 1950 to 2005

Preis SR, Hwang SJ, Coady S, Pencina MJ, D'Agostino RB Sr, Savage PJ, Levy D, Fox CS.

Circulation 2009;119:1728-35

 

 

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