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La riduzione della rigidità arteriosa e l'azione delle statine

Giacomo Pucci - Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Perugia

 

Dimostrare che l'espressione di una variabile biologica si associa ad un aumentato rischio di eventi cardiovascolari, indipendentemente dall'effetto di altre variabili, è un elemento convincente per definirla un fattore di rischio cardiovascolare. Dimostrare che la riduzione della sua espressione o la sua rimozione comportano nel tempo una riduzione del rischio cardiovascolare, lo è sensibilmente di più. Nel corso degli ultimi anni moltissimi promettenti indicatori biologici candidati a diventare fattori di rischio cardiovascolare hanno proprio fallito in questo secondo obiettivo; tra le principali "vittime illustri" si annoverano l'omocisteina, la proteina C reattiva, la lipoproteina (a) ed PAI-1. Attualmente vi è un notevole interesse nei confronti della rigidità o "stiffness" aortica come indicatore di rischio cardiovascolare emergente: in diverse popolazioni ed in differenti classi di età la rigidità aortica, quale espressione di arteriosclerosi o più genericamente di danno vascolare, è stata direttamente correlata ad una peggiore prognosi cardiovascolare, indipendentemente dal contributo dei classici fattori di rischio cardiovascolare. Per rigidità arteriosa si intende la ridotta distensibilità dei vasi arteriosi che nel caso delle arterie centrali di grosso calibro (aorta, carotidi, renali) riflette sia complesse variazioni strutturali, come lo scompaginamento della rete di lamelle di elastina e la neo-deposizione di materiale collagene, sia alterazioni della funzione dell'endotelio. Dirette conseguenze dell'irrigidimento sono la perdita della funzione di "cuscinetto" delle arterie, tramite la quale la componente pulsatile della pressione arteriosa viene dissipata in periferia al fine di permettere un flusso ematico continuo, ed il precoce ritorno dell'onda pressoria in sistole, come effetto di un'aumentata velocità di trasmissione dell'onda lungo le grandi arterie, che ostacola la perfusione coronarica e l'eiezione cardiaca particolarmente nella fase tardiva della sistole. I tessuti cardiaco, cerebrale e renale, pertanto, per le loro caratteristiche anatomiche, sono più esposti alle conseguenze emodinamiche dell'irrigidimento aortico, quali l'aumentata pressione differenziale e la ridotta perfusione coronarica. Non stupisce quindi, date le premesse, che molta attenzione è dedicata allo studio di una terapia della stiffness aortica, cioè di farmaci in grado di ridurre o ritardare il processo di irrigidimento arterioso. Finora, diversi incoraggianti risultati sono stati descritti per classi di farmaci ampiamente eterogenee per meccanismo d'azione, che riflettono la multifattorialità del processo fisiopatologico. Particolarmente efficaci nel ridurre specificamente la rigidità arteriosa sono i farmaci come l'alagebrium, in grado di rompere i cross-link dei prodotti avanzati di glicazione (AGE), i nitrati, in grado di aumentare la biodisponibilità di ossido nitrico, e gli anticorpi monoclonali anti TFN-a, con la loro azione anti-infiammatoria. Un recente studio di Orr e collaboratori, pubblicato nel numero di Settembre di Hypertension, offre lo spunto per approfondire il possibile ruolo delle statine nella riduzione della stiffness arteriosa, argomento molto discusso che al momento ha prodotto risultati contrastanti. Gli autori hanno disegnato uno studio randomizzato e controllato, della durata di 12 settimane, valutando la rigidità arteriosa in un gruppo di 26 adulti sovrappeso ed obesi, sottoposti a trattamento con atorvastatina ad alte dosi (80 mg) o placebo. La rigidità è stata misurata mediante determinazione della velocità dell'onda sfigmica (Pulse Wave Velocity) a livello brachiale e carotideo-femorale e mediante valutazione del b-stiffness index carotideo, che risulta essere un indice relativamente indipendente dalla pressione arteriosa di distensione. Sono stati inoltre valutati i livelli di proteina C reattiva come indicatore di infiammazione sistemica, e l'insulinoresistenza mediante il calcolo dell'HOMA. A parità di valori di pressione arteriosa, il gruppo dei soggetti randomizzati ad Atorvastatina 80 mg ha mostrato una significativa riduzione della pulse wave velocity carotideo-femorale (-15% vs -4% nel gruppo placebo, p<0.05) ed un miglioramento della compliance carotidea (+29% vs 0% nel gruppo placebo, p<0.05), mentre nessuna modificazione si è verificata a livello della arteria brachiale. Come atteso, nel gruppo dei soggetti che assumevano Atorvastatina, si è verificata una sensibile riduzione dei livelli di colesterolo totale, HDL, LDL e VLDL, così come della trigliceridemia, mentre per i livelli di proteina C reattiva si è osservato un trend in decremento non significativo. Nessuna variazione è stata documentata per i livelli di HOMA. Gli autori non riportano una correlazione tra i livelli di colesterolemia ed i valori di rigidità arteriosa, mentre l'entità della riduzione del colesterolo sembrerebbe associarsi all'entità della riduzione della rigidità arteriosa; il numero ristretto del campione studiato può comunque limitare il valore di tali risultati. Nel numero di Novembre 2009 della rivista Hypertension, sono stati pubblicati i risultati di una sotto-analisi dello studio ASCOT (Anglo-Scandinavian Cardiac Outcome Trial) condotta da Mainsty e collaboratori, in cui è stata analizzata la stiffness carotidea in una popolazione di 142 individui con 3 fattori di rischio cardiovascolare (non necessariamente i maggiori), con colesterolemia normale o lievemente aumentata, appartenenti all'originario braccio ipocolesterolemizzante (ASCOT-LLA), randomizzati cioè ad atorvastatina 10 mg o placebo. Come indicatori di rigidità arteriosa sono stati valutati l'augmentation index carotideo, ovvero la percentuale di pressione arteriosa differenziale dipendente dal ritorno precoce dell'onda durante la sistole, e la wave intensity analysis, una metodica che scompone l'onda pressoria nelle varie componenti che la costituiscono, come ad esempio la componente incidente originata dalla contrazione ventricolare e la componente originata dai vari siti di riflessione. I risultati hanno confermato ancora una volta che a parità di pressione arteriosa, il gruppo dei soggetti trattati con statine ha mostrato una significativa riduzione dell'augmentation index carotideo, espressione di una riduzione della rigidità arteriosa dei grossi vasi, così come una significativa riduzione della componente riflessa dai siti di riflessione distali (biforcazione aortica, arterie degli arti inferiori). Le osservazioni di questi studi assumono importanza in una doppia valenza. Da una parte viene riaffermata l'utilità clinica delle statine come farmaci capaci di esercitare effetti pleiotropici, alcuni dei quali (aumentata biodisponibilità di NO, riduzione dello stress ossidativo, riduzione delle influenze umorali) possono essere i mediatori della regressione della rigidità arteriosa. Più in generale, lo studio offre una importante chiave di lettura per la comprensione della rigidità aortica e delle arterie centrali come un fenomeno biologico estremamente dinamico, piuttosto che un inevitabile "indurimento" delle arterie che si verifica con l'età. Interferendo con i vari meccanismi fisiopatologici a vari livelli è quindi possibile ridurre almeno in parte la rigidità arteriosa. Non rimane ora che valutare su larga scala e nelle condizioni ideali il possibile ruolo prognostico indipendente della riduzione della rigidità arteriosa ed a tal fine le statine si candidano come potenziali alleati per far compiere alla rigidità arteriosa l'ultimo gradino: raggiungere l'obbiettivo di essere considerata un fattore di rischio cardiovascolare maggiore.

 

 

Arterial Destiffening With Atorvastatin in Overweight and Obese Middle-Aged and Older Adults

Orr JS, Dengo AL, Rivero JM, Davy KP.

Hypertension 2009;54:763-8

 

Wave Intensity Analysis and Central Blood Pressure

J. D. Cameron

Hypertension 2009;54:958-9 - Editorial: No abstract available

 

Atorvastatin Treatment Is Associated With Less Augmentation of the Carotid Pressure Waveform in Hypertension: A Substudy of the Anglo-Scandinavian Cardiac Outcome Trial (ASCOT)

Manisty C, Mayet J, Tapp RJ, Sever PS, Poulter N, McG Thom SA, Hughes AD; ASCOT Investigators.

Hypertension 2009;54:1009-1013

 

 

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