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Effetti antiaritmici delle statine: evidenze cliniche e possibili meccanismi di azione sottostanti

Emanuele Cappiello - U.O. Cardiologia, Ospedale Luigi Sacco, Milano

 

Numerose osservazioni cliniche, in parte note da tempo e in parte di acquisizione più recente, indicano che le statine non solo riducono l'incidenza di diverse aritmie cardiache, ma anche proteggono dal rischio di morte improvvisa aritmica in pazienti con differenti patologie cardiovascolari.
- L'incidenza di morte cardiaca improvvisa nei pazienti con malattia coronarica stabile dello studio 4S è risultata del 2.8% (63/2223) nel gruppo placebo e dell'1.7% (37/2221) nel gruppo simvastatina, mentre nei pazienti con pregresso IMA o recente ricovero per angina instabile dello studio LIPID è risultata del 4.7% (211/4502) nel gruppo placebo e del 4.0% (182/4512) nel gruppo pravastatina.
- Di 78 pazienti con cardiomiopatia ischemica sottoposti a impianto di defibrillatore automatico (AICD) per aritmie ventricolari maligne (AVM) (tachicardia ventricolare [TV] sostenuta o fibrillazione ventricolare [FV]), 27 sono stati dimessi con indicazione ad assumere farmaci ipolipemizzanti (statine nel 59% dei casi), mentre gli altri 51 no. Al termine dello studio, della durata di 16 mesi, il trattamento con ipolipemizzanti è risultato associato ad una riduzione dell'intervento appropriato dell'AICD (22% vs. 57%; p=0.04) e dell'incidenza di 'storm' elettrico (4% vs. 13%). Limiti di questo studio sono il carattere osservazionale retrospettivo e la scarsa numerosità.
- Nell'ambito degli studi randomizzati di prevenzione secondaria delle AVM, lo studio AVID (Antiarrhythmics Versus Implantable Defibrillators) ha dimostrato che l'impiego dell'AICD comporta una riduzione della mortalità a 2 anni del 27% nei confronti di amiodarone e sotalolo: una sottoanalisi dello studio AVID ha evidenziato, nei 362 pazienti randomizzati a impianto di AICD, una riduzione significativa del rischio di recidiva di aritmia ventricolare maligna nel sottogruppo trattato con terapia ipolipemizzante (statina nel 79% dei casi) rispetto al sottogruppo di pazienti senza (hazard ratio 0.40 (0.15-0.58), p=0.003).
- Nei 458 pazienti con cardiomiopatia dilatativa non ischemica dello studio DEFINITE (DEFIbrillators in Non-Ischemic cardiomyopathy Treatment Evaluation), la terapia con statine è risultata associata ad una riduzione significativa del rischio di morte aritmica (hazard ratio 0.22 (0.09-0.55), p=0.001).
- Lo studio MADIT-II ha dimostrato che, in 1232 pazienti con pregresso IMA e frazione di eiezione ventricolare sinistra 0.30, la terapia con AICD riduce del 31% la mortalità totale a 20 mesi rispetto alla terapia medica convenzionale (p=0.016): una sottoanalisi dello studio MADIT-II dimostra che, nei 654 pazienti randomizzati a impianto dell'AICD, un trattamento pressoché continuativo con statina (per oltre il 90% della durata media del follow-up) rispetto al non trattamento è associato ad una riduzione del 35% del rischio dell'end point combinato morte cardiaca + intervento dell'AICD per TV/FV (p=0.004), e del 28% del rischio di quest'ultima variabile (p=0.046).
- Per quanto riguarda l'effetto preventivo delle statine sulla fibrillazione atriale (FA), due metanalisi, la prima relativa a 6 studi controllati per un totale di 3557 pazienti, e la seconda riguardante 13 studi (dei quali 3 randomizzati e controllati e 10 osservazionali) per un totale di 17643 pazienti, hanno dimostrato che l'impiego della statina è associato ad una riduzione significativa, e di entità consistente, del rischio di insorgenza ex-novo e di recidiva di fibrillazione atriale (nei pazienti con FA parossistica o pregressa FA persistente sottoposta a conversione in ritmo sinusale), anche dopo intervento cardiochirurgico.
- Particolarmente interessanti sono inoltre i dati dello studio GRACE (Global Registry of Acute Coronary Events), ampio studio osservazionale prospettico, il cui acronimo è peraltro anche legato all'introduzione di un sistema a punteggio per la stratificazione prognostica della sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST (il GRACE Risk score) che dovrebbe sostituire il TIMI Risk score. In tutto sono stati raccolti dati relativi a 64679 pazienti dei quali il 27% risultava in trattamento con statina all'atto del ricovero. In questo gruppo di pazienti il rischio intraospedaliero di TV, FV e arresto cardiaco è risultato ridotto del 19% rispetto al gruppo non in terapia con statina (IC 95%: 28-4%, p=0.002), mentre il rischio di fibrillazione atriale è risultato parimenti ridotto del 19% (IC 95%: 27-11%, p 0.0001). Tale risultato è particolarmente rilevante se si tiene conto del concomitante ampio impiego intraospedaliero dei beta-bloccanti in entrambi i gruppi (84%). Una critica metodologica al lavoro, possibile fonte di riserva interpretativa dei risultati dello studio, è data dalla durata minima sufficiente a definire un trattamento con statina, fissata arbitrariamente a 7 giorni, quando è noto che il lento meccanismo d'azione recettoriale delle statine sviluppa il suo pieno effetto dopo circa 2 mesi.
Anche se gli esatti meccanismi alla base degli effetti antiaritmici delle statine non sono chiariti, è possibile formulare alcune ipotesi.
In presenza di tachiaritmie relate a ischemia miocardica, quindi nei pazienti con malattia coronarica, l'attività antiaritmica delle statine potrebbe essere riferibile alle loro proprietà antischemiche, conseguenti: 1) alla loro attività stabilizzante sulla placca aterosclerotica quale risultante di una serie di effetti diretti sulla biologia della placca (tra i quali l'inibizione della secrezione delle metalloproteinasi, l'inibizione della crescita dei macrofagi e dell'accumulo di colesterolo nei macrofagi e l'inibizione dell'espressione e dell'attività del fattore tissutale); 2) alla loro capacità di aumentare il flusso coronarico sia per l'effetto ipolipemizzante come tale, sia a seguito dell'up-regulation dell'espressione della NO-sintasi endoteliale; 3) all'attività antiaggregante piastrinica, anche in tale caso riconducibile non solo all'effetto ipolipemizzante di per sé delle statine, ma anche all'effetto diretto sulla funzione piastrinica. Nella genesi, recidiva e persistenza della fibrillazione atriale non su base ischemia, meccanismi infiammatori locali giocano un ruolo determinante ed elevati livelli plasmatici di proteina C reattiva sono risultati associati ad un maggior rischio di comparsa o recidiva di FA. I complessi effetti antinfiammatori delle statine potrebbero pertanto giustificare, almeno in parte, il loro effetto protettivo dalla FA. Da quanto esposto si evince l'importanza determinante di effetti non lipidici nello spiegare l'attività antiaritmica delle statine.
In conclusione, anche se disponiamo di pochi studi controllati, sussistono sufficienti evidenze cliniche a favore di una attività antiaritmica delle statine sulle tachiaritmie ventricolari e sulla fibrillazione atriale. Rimangono da spiegare in modo esauriente i possibili meccanismi alla base di tale effetto, ulteriore tassello nel complesso mosaico che caratterizza i molteplici effetti benefici di tale classe di farmaci.

 

 

Impact of prior statin therapy on arrhythmic events in patients with acute coronary syndromes (from the Global Registry of Acute Coronary Events [GRACE])

Vedre A, Gurm HS, Froehlich JB, Kline-Rogers E, Montalescot G, Gore JM, Brieger D, Quill AL, Eagle KA; GRACE Investigators.

Am J Cardiol 2009;104:1613-7

 

 

 

Bibliografia:

 

Antiarrhythmic effect of statin therapy and atrial fibrillation. A meta-analysis of randomized controlled trials

Fauchier L, Pierre B, de Labriolle A, Grimard C, Zannad N, Babuty D.
J Am Coll Cardiol 2008;51:828-835

 

Do statins have an antiarrhythmic activity?
Kostapanos MS, Liberopoulos EN, Goudevenos JA, Mikhailidis DP, Elisaf MS

Cardiovasc Res 2007;75:10-20

 

 

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