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Adriana Branchi, Centro per lo Studio e la Prevenzione dell'Aterosclerosi, Dipartimento di Medicina Interna, Università di Milano, Fondazione IRCCS Ca' Granda - Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
I risultati degli studi presenti in letteratura sulla relazione esistente tra alterazioni subcliniche della funzionalità tiroidea e rischio di morbilità e mortalità cardiovascolare sono controversi. In genere i dati sono più consistenti per quanto riguarda l'ipotiroidismo che non l'ipertiroidismo subclinico. Infatti l'ipotiroidismo subclinico può essere accompagnato da alterazioni metaboliche che in qualche modo possono giustificare una maggiore esposizione a problemi di tipo cardiovascolare (Intern Emerg Med DOI 10,1007/s11739-011-0743-z).
Nel loro studio invece Collet et al. del Thyroid Study Collaboration hanno fatto una analisi di 10 coorti di pazienti che comprendevano un totale di 52.674 partecipanti, di cui il 4,2% avevano una diagnosi di ipertiroidismo subclinico. L'ipertiroidismo subclinico può essere definito quando il valore di tireotropina (TSH) è inferiore a 0,45 mIU/L ed i valori di tiroxina libera (FT3) sono normali, dopo aver escluso che il paziente stia assumendo farmaci che possano interferire con la funzionalità tiroidea. In questo studio l'ipertiroidismo subclinico è risultato essere associato ad una aumentata mortalità sia totale che cardiovascolare, ad un aumento degli eventi cardiaci e della comparsa di fibrillazione atriale. Questo rischio non era differente per età, sesso o patologie cardiovascolari preesistenti e permaneva anche dopo correzione per fattori di rischio cardiovascolare come pressione arteriosa sistolica, fumo, colesterolo totale e diabete. Inoltre il rischio per mortalità cardiovascolare e fibrillazione atriale era più elevato nei pazienti con valori di TSH inferiori a 0,10 mIU/L, cioè con una forma più grave.
I risultati di questo studio inducono però ad alcune riflessioni.
Dal punto di vista clinico è noto che l'ipertiroidismo conclamato, se non trattato, è responsabile di problemi cardiovascolari come comparsa nel paziente giovane di tachicardia, cardiopalmo e dispnea da sforzo mentre nell'anziano può favorire lo scompenso cardiaco, aritmie sopraventricolari ed angina pectoris. Meno chiari sono invece gli effetti a lungo termine dell'ipertiroidismo subclinico.
Dati abbastanza convincenti, compresi quelli dello studio di Collet e Coll., potrebbero far ipotizzare che anche l'ipertiroidismo subclinico possa essere responsabile della comparsa di fibrillazione atriale.
Più difficile è invece dare una spiegazione al rapporto con gli eventi cardiovascolari e la mortalità totale, escludendo naturalmente le cause dovute ad aritmia. Gli autori non danno spiegazioni convincenti nella loro discussione, se non un'eventuale alterazione della funzionalità cardiaca, citando un altro lavoro (JACC, 2008;52:1152-9) in cui sia l'ipertiroidismo che l'ipotiroidismo subclinico sono associati ad un aumentato rischio di scompenso cardiaco.
Nel complesso gli studi presenti finora in letteratura non sono dirimenti anche perché sono il risultato di un insieme di studi, che nonostante le attenzioni degli autori nella loro selezione, sono poco confrontabili. Tornando infatti al nostro articolo nel loro commento gli autori menzionano almeno otto bias che potrebbero in qualche modo inficiare i loro risultati.
In conclusione, lo studio di Collet et al. pone giustamente il problema di riconoscere l'ipertiroidismo subclinico come fattore di rischio di insorgenza di malattie cardiovascolari sebbene, allo stato attuale, non ci siano in letteratura studi prospettici sul lungo termine che possano convalidare i benefici di un eventuale trattamento nelle varie classi di età di pazienti.
Subclinical hyperthyroidism and the risk of coronary heart disease and mortality
Collet TH, Gussekloo J, Bauer DC, den Elzen WP, Cappola AR, Balmer P, Iervasi G, Åsvold BO, Sgarbi JA, Völzke H, Gencer B, Maciel RM, Molinaro S, Bremner A, Luben RN, Maisonneuve P, Cornuz J, Newman AB, Khaw KT, Westendorp RG, Franklyn JA, Vittinghoff E, Walsh JP, Rodondi N
Arch Intern Med 2012;172:799-809
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