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Inquinamento atmosferico e rischio cardiovascolare

Manuela Casula - Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari, Università degli Studi di Milano


Nel dicembre del 1952, il cosiddetto "grande smog" di Londra attirò l'attenzione sia della comunità scientifica che dei governi sul potenziale enorme impatto dell'inquinamento atmosferico sulla salute umana. Come conseguenza di condizioni climatiche stagnanti, si era osservato un grave aumento della concentrazione di inquinanti atmosferici e, nei giorni successivi, la mortalità nella popolazione generale fu oltre tre volte quella prevista, portando ad un eccesso stimato di 4000 decessi. Da questo storico episodio, un gran numero di studi ha confermato l'associazione tra inquinamento atmosferico e malattie umane, non solo per malattie respiratorie ma anche per molte altre condizioni, con il più alto impatto sul cancro e sulle malattie cardiovascolari (CVD). Da segnalare, il World Health Report 2002 dell'OMS stima che ogni anno circa 800.000 morti premature sono dovute all'inquinamento atmosferico in tutto il mondo.
Gli effetti più gravi in termini di carico globale di salute includono una significativa riduzione della speranza di vita media della popolazione, legata alla esposizione a lungo termine a livelli elevati di particolato (particulate matter, PM). In Europa, si stima che se i livelli di PM2.5 (particelle con un diametro aerodinamico mediano <2,5 micron) venissero ridotti ai valori raccomandati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità di 10 µg/m3, il guadagno medio previsto in termini di speranza di vita sarebbe compreso tra 0,4 mesi a Dublino (la città meno inquinata, media PM 2.5 2004-2006 10,5 µg/m3), gli 11,6 mesi di Roma (media PM2.5 2004-2006 20,9 µg/m3) e i 22,1 mesi a Bucarest (la città più inquinata, media PM 2.5 2004-2006 38,2 µg/m3).
Diversi studi hanno mostrato che esposizioni chimiche ambientali e occupazionali, soprattutto al particolato, contribuiscono all'eziogenesi della malattia cardiovascolare cronica e indagini tossicologiche hanno segnalato che l'esposizione ambientale a inquinanti urbani può accelerare il processo di aterosclerosi. Le particelle sottili sospese nell'aria possono entrare facilmente nel sistema respiratorio, portando alla formazione di specie reattive dell'ossigeno e di conseguenza alla lipoperossidazione e al danneggiamento delle proteine, nonché all'attivazione di mediatori infiammatori in grado di esacerbare una eventuale infiammazione polmonare, di indurre un aumento della coagulabilità del sangue e di generare disfunzione endoteliale. L'attivazione del processo infiammatorio costituisce probabilmente il legame tra l'inalazione di sostanze inquinanti e lo sviluppo di eventi cardiovascolari.
I dati in vitro e in vivo indicano che l'esposizione agli idrocarburi policiclici aromatici presenti nell'inquinamento atmosferico urbano è associata al rischio di accelerazione del processo di aterosclerosi. Due principali ipotesi interconnesse (la "clotting hypothesis" e la "neural hypothesis") sono emerse negli ultimi dieci anni per aiutare a spiegare gli effetti del PM sul sistema cardiovascolare. Nella "clotting hypothesis", l'inalazione di PM e la sua deposizione nei polmoni, specialmente di particelle molto fini, porta a una risposta infiammatoria polmonare e al rilascio di citochine nel flusso sanguigno, che a sua volta determina un aumento della coagulazione del sangue e la formazione di trombi. L'esposizione cronica al PM può anche forzare lo sviluppo di malattia coronarica.
Il sistema nervoso autonomo controlla il normale ritmo cardiaco, in cui la stimolazione del sistema simpatico aumenta la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa, mentre la stimolazione del sistema parasimpatico ha effetto bradicardico. La "neural hypothesis" propone che le particelle inalate possano influenzare il sistema nervoso autonomo, o per stimolazione direttamente attraverso i recettori nel tratto respiratorio, o indirettamente attraverso l'infiammazione e il rilascio di citochine, anche se il meccanismo esatto non è ancora chiaro. Gli effetti derivanti sul ritmo cardiaco possono poi portare ad aritmie potenzialmente fatali.
È stata anche proposta una terza via con cui le polveri sottili possono influenzare gli esiti cardiovascolari, per cui il particolato ultrafine e/o i componenti solubili del PM possono entrare nel flusso sanguigno e avviare direttamente uno stato di infiammazione sistemica in siti diversi dal polmone, per esempio nel fegato. Tuttavia, attualmente, i contributi relativi di infiammazione sistemica, alterato tono autonomico ed effetti diretti sulla coagulazione sono sconosciuti.
Sin dai primi anni 2000 è stato riconosciuto che l'esposizione ad elevata concentrazione di PM è associata ad un aumentato rischio di eventi cardiovascolari, in particolare infarto del miocardio, ictus, aritmie e scompenso cardiaco, e nell'ultimo decennio si sono accumulate evidenze in questa direzione, tanto che la American Heart Association nel 2010 ha definito l'esposizione a PM2.5 come "un fattore modificabile che contribuisce alla morbilità e mortalità cardiovascolare". Infatti, è stato dimostrato che l'esposizione a breve termine a PM10 (da poche ore a settimane) innesca eventi cardiovascolari sia fatali che non fatali, mentre l'esposizione a lungo termine per le stesse particelle è associata ad una riduzione ancora maggiore della aspettativa di vita. L'evidenza di questi effetti sulla salute deriva dagli studi clinici e dalle valutazioni meccanicistiche ed epidemiologiche a breve termine e a lungo termine. Mentre l'evidenza epidemiologica relativa all'esposizione a breve termine a PM2.5 (particelle con un diametro aerodinamico mediano <10 micron) e ai suoi effetti sulla salute è notevole, sono meno numerosi gli studi sulle polveri sottili, misurate come PM2.5.
Una recente revisione sistematica ha identificato 110 studi ecologici di serie temporali sull'esposizione a breve termine al PM2.5 e la mortalità o l'ospedalizzazione. I risultati della metanalisi su questi studi indicano associazioni positive con la mortalità per tutte le cause, la mortalità causa-specifica e i ricoveri ospedalieri. Un incremento di 10 µg/m3 in PM2.5 era associato con un aumento dell'1,04% (IC 95% 0,52%-1,56%) del rischio di morte per tutte le cause, del 3,36% (IC 95% 0,68%-6,10%) del rischio di morte per cardiopatia ischemica e dell'1,85% (IC 95% 0,74%-2,97%) del rischio di morte per ictus; similmente, un incremento di 10 µg/m3 in PM2.5 era associato con un aumento, modesto ma significativo, dello 0,90% (IC 95% 0,26%-1,53%) del rischio di ospedalizzazioni per cause cardiovascolari.
Lo studio ESCAPE (European Study of Cohorts for Air Pollution Effects) ha recentemente prodotto tre pubblicazioni di particolare interesse in questo ambito. Lo studio ha lo scopo di valutare gli effetti a lungo termine sulla salute umana dell'esposizione all'inquinamento atmosferico in Europa. A tal fine, è stata messa a punto una metodologia di valutazione degli effetti, sulla popolazione, dell'esposizione a lungo termine al particolato atmosferico, alle polveri sottili e ai composti azotati, che fosse applicabile ai molti dati già disponibili dagli studi di coorte che hanno misurato gli effetti dell'inquinamento dell'aria in termini di mortalità e morbilità per malattie croniche, su decine di migliaia di soggetti europei. Tra gli aspetti più rilevanti oggetto di studio: l'insorgenza di malattie cardiovascolari negli adulti, l'impatto sulla mortalità generale e per cause specifiche e sull'incidenza di tumori.
I risultati relativi alla mortalità per cause naturali sono stati recentemente pubblicati su Lancet. La popolazione totale dello studio, che ha coinvolto 22 nazioni europee, consisteva di 367.251 partecipanti, per un totale di 5.118.039 anni-persona a rischio (follow-up medio 13,9 anni). Le concentrazioni di inquinanti atmosferici variavano tra le aree di studio e aumentavano dal nord a sud. La concentrazione media di PM2.5 variava da 6,6 µg/m3 (Svezia) a 31,0 µg/m3 (Torino). Le più alte concentrazioni di inquinanti sono state registrate a Torino, Roma e Atene. Sono stati registrati 29.076 decessi per cause naturali durante il follow-up. I risultati hanno mostrato un significativo aumento del rischio di 1,07 per aumenti di 5 µg/m3 per il PM2.5. Le associazioni restavano alte e statisticamente significative anche per concentrazioni ben al di sotto del valore limite europeo medio annuo di 25 µg/m3 (standard di qualità dell'aria secondo le indicazioni della commissione europea).
I risultati dello studio in termini di incidenza di eventi coronarici sono invece stati oggetto di una recente pubblicazione su BMJ, in un'indagine su 11 coorti per un numero complessivo di 100.166 soggetti seguiti mediamente per 11 anni e mezzo. In questa analisi, un aumento stimato di 5 µg/m3 della media annua del PM2.5 era associato a un rischio aumentato del 13% di eventi coronarici (hazard ratio [HR] 1,13; IC 95% 0,98-1,30), mentre un aumento stimato di 10 µg/m3 della media annua del PM10 era associato a un aumento del rischio del 12% (HR 1,12; IC 95% 1,01-1,25), senza evidenza di eterogeneità tra le coorti. Sono state rilevate associazioni positive al di sotto del valore limite annuale indicato in Europa di 25 µg/m3 per il PM2.5 (HR 1,18; IC 95% 1,01-1,39 per 5 µg/m3 di aumento del PM2.5) e di 40 µg/m3 per il PM10 (HR 1,12; IC 95% 1,00-1,27 per 10 µg/m3 di aumento del PM10).
Infine, per quanto riguarda i dati relativi alla mortalità per cause cardiovascolari, come mostrato nell'articolo pubblicato su Epidemiology, l'analisi condotta su 22 coorti europee e 367.383 partecipanti ha mostrato che la maggior parte delle stime di associazione tra esiti di mortalità e inquinanti atmosferici era circa 1,0 (quindi non indicativi di una netta influenza tra esposizione e outcome), con l'eccezione della mortalità cerebrovascolare: l'HR per il PM2.5 era 1,21 (IC 95% 0,87-1,69) per ogni aumento di 5 µg/m3 e per il PM10 era 1,22 (IC 95% 0,91-1,63) per ogni aumento di 10 µg/m3.
In conclusione, mentre i contributi di importanti fattori di rischio per malattie cardiovascolari e la mortalità, come il fumo di sigaretta e l'ipertensione, sono ben noti, ora c'è anche un crescente riconoscimento del ruolo del particolato atmosferico. I governi e le autorità di regolamentazione di tutto il mondo hanno continuamente abbassato gli standard di PM negli ultimi due decenni, in uno sforzo per proteggere la salute pubblica. Due problematiche meritano attenzione. La prima è che le regioni del mondo che presentano tassi moderatamente alti di mortalità CV e fronteggiano il maggiore aumento della prevalenza di fattori di rischio per malattie cardiovascolari sono le stesse regioni che soffrono di alti livelli di inquinamento da polveri sottili. L'aggiunta di alti livelli di inquinamento atmosferico al quadro di fattori di rischio aumenterà i tassi di mortalità e morbilità cardiovascolare e quindi l'impatto socio-sanitario sulla comunità e sui sistemi sanitari. In secondo luogo, nei Paesi ad alto reddito, anche se i tassi di malattie cardiovascolari sono in diminuzione e i livelli di inquinamento atmosferico da particolato sono più o meno controllati, resta rilevante l'elevato impatto epidemiologico dell'esposizione a PM, una condizione onnipresente e non intenzionale, essenzialmente inevitabile per il singolo individuo. In altre parole, da un punto di vista di sanità pubblica, il ruolo dell'inquinamento come fattore scatenante le malattie cardiovascolari è estremamente importante in virtù dell'elevata prevalenza di esposizione involontaria della popolazione, nonostante la relativamente bassa entità del rischio conferito da questo fattore rispetto ad altri fattori relativi a comportamenti individuali. Queste considerazioni sottolineano i grandi vantaggi potenziali per la salute pubblica che potrebbero derivare da adeguati interventi per ridurre l'inquinamento atmosferico, coordinati e concertati tra governo, amministrazioni locali, comunità scientifica e popolazione generale.



Epidemiological time series studies of PM2.5 and daily mortality and hospital admissions: a systematic review and meta-analysis
Atkinson RW, Kang S, Anderson HR, Mills IC, Walton HA
Thorax 2014; 0:1-6

 

Effects of long-term exposure to air pollution on natural-cause mortality: an analysis of 22 European cohorts within the multicentre ESCAPE project
Beelen R, Raaschou-Nielsen O, Stafoggia M et al.
Lancet 2014;383:785-95


Long term exposure to ambient air pollution and incidence of acute coronary events: prospective cohort study and meta-analysis in 11 European cohorts from the ESCAPE Project.
Stafoggia M, Cesaroni G, Peters A et al.
BMJ 2014;348:f7412

Long-term exposure to air pollution and cardiovascular mortality: an analysis of 22 European cohorts
Beelen R, Stafoggia M, Raaschou-Nielsen O et al.
Epidemiology 2014;25:368-78


 

 

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