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Domenico Sommariva - Responsabile Editoriale WEB per il sito SISA
La lipoproteina (a) è una particella simile alla LDL, è prodotta dal fegato e contiene un'unica molecola di apoB-100 legata covalentemente ad una glicoproteina specifica, l'apo(a). La sua concentrazione nel plasma è estremamente variabile, anche di più di 1000 volte da <0,2 mg/dL a >200 mg/dL e la variabilità dipende dalla dimensione della molecola che è determinata dal numero di ripetizioni di tipiche strutture ad ansa (kringle). Più la molecola di apo(a) è piccola, più la concentrazione plasmatica di Lp(a) è elevata. Non è noto se la Lp(a) abbia o meno una funzione biologica: si suppone che sia in qualche modo implicata nel processo aterosclerotico per la sua ricchezza in colesterolo e per la similarità dell'apo(a) con il plasminogeno. Potrebbe pertanto intervenire in due momenti topici dell'aterosclerosi e cioè nella crescita della placca e nell'evento trombotico finale. Queste due possibilità costituiscono una base razionale ai numerosi studi che hanno dimostrato una relazione tra livello di Lp(a) e rischio cardiovascolare (1,2). Lp(a) alta equivarrebbe dunque a rischio cardiovascolare alto, ma sorprendentemente anche a basso rischio di diabete di tipo 2. Questo è quanto fa sospettare una metanalisi eseguita su 34 studi prospettici che ha documentato che i pazienti con diabete hanno un livello di Lp(a) dell'11% inferiore a quello dei pazienti senza diabete (3). Potrebbe essere che il diabete determini una diminuzione della concentrazione plasmatica di Lp(a), anche se, come si è accennato, il livello di Lp(a) è determinato più dal polimorfismo del gene che codifica per le ripetizioni del kringle IV che da altri fattori (4). Uno studio prospettico del 2010, condotto nell'ambito del Women's Health Study (5), ripropone però un possibile ruolo protettivo di alti livelli di Lp(a) nei confronti del diabete di tipo 2, con la dimostrazione di una correlazione inversa tra Lp(a) e rischio di diabete.
L'esistenza di una relazione inversa tra Lp(a) e rischio diabete non autorizza certo a sostenere un rapporto causa-effetto e questo è l'eterno problema di dare una giusta interpretazione a dati statistici, soprattutto negli studi osservazionali che sono spesso soggetti a molteplici fattori confondenti. In generale, il modo migliore per controllare i possibili fattori confondenti è la randomizzazione che, rendendo comparabili i gruppi per più fattori noti e non noti, consente di valutare il peso della variabile in studio sull'evento. Ma questo è difficilmente realizzabile per gli studi osservazionali. Da una ventina d'anni a questa parte, grazie ai progressi degli studi di genetica, si è cercato di migliorare la comprensione dei fenomeni biologici con metodi di analisi diversi. Uno di questi, che è anche il più usato, è la "randomizzazione mendeliana" che si basa sul fatto che i geni dei genitori vengono trasmessi ai figli in modo casuale (random) al momento della formazione dei gameti, fenomeno questo che è indipendente da fattori confondenti non-genetici e non è modificato da fattori ambientali o processi patologici.
Una variante genetica, nella fattispecie un polimorfismo del gene per la Lp(a), diventa funzionale alla comprensione del rapporto esistente fra livelli circolanti della Lp(a) e rischio di sviluppare un dato evento. In altre parole, il gene polimorfico è uno "strumento" tramite il quale è possibile ipotizzare un nesso di causalità fra il suo prodotto (Lp(a)) e la malattia, in assenza di fattori confondenti, proprio perchè l'effetto dei geni, è indipendente da fattori ambientali o legati allo stile di vita che, invece, sono elementi tipici di distorsione dell'analisi negli studi clinici di associazione (6).
Proprio con la randomizzazione mendeliana si è potuto dimostrare come polimorfismi del gene dell'Lp(a) siano associati sia alla concentrazione della Lp(a), sia al rischio vascolare (7,8). Sulla randomizzazione mendeliana è basato anche il lavoro di Ye e coll (9) che hanno usato uno dei polimorfismi comuni (rs10455872) del gene Lp(a) per stabilire un possibile rapporto causale tra Lp(a) e rischio di diabete nella coorte dell'EPIC-Norfolk study che aveva reclutato, tra il 1993 ed il 1997, 25.639 uomini e donne di età compresa tra 40 e 79 anni. L'analisi è stata condotta su 8.248 uomini e 10.242 donne i cui dati erano completi e si è osservato che il livello di Lp(a), a conferma di quanto rilevato in altri studi (5) era inversamente correlato con l'incidenza di diabete di tipo 2 e direttamente correlato con l'incidenza di malattia coronarica, con una significatività statistica che persisteva anche dopo correzione per numerose variabili influenti, come lo stile di vita ed i fattori di rischio per il diabete o fumo, pressione arteriosa e quadro lipidico per la cardiopatia ischemica. La variante rs10455872 è risultata significativamente associata con il livello di Lp(a), ma non con il diabete. L'analisi mediante randomizzazione mendeliana dimostra dunque che la Lp(a) geneticamente elevata non è associata ad un ridotto rischio di diabete, suggerendo che l'osservata associazione tra alti livelli di Lp(a) e basso rischio di diabete non è espressione di un rapporto causale. Ma allora quale è la spiegazione della relazione inversa tra livello di Lp(a) e diabete di tipo 2 trovata in molti studi osservazionali? Non è facile dare una risposta, comunque gli stessi autori dello studio (7) danno come possibile, oltre ad errori statistici dovuti per lo più alla persistenza di fattori confondenti non eliminati nei vari modelli di analisi, che sia l'insulina resistenza, che notoriamente precede lo sviluppo del diabete di tipo 2, la causa della riduzione della Lp(a). Alcuni studi nell'animale e nell'uomo (10) suggeriscono infatti che l'insulina sia in grado di ridurre il livello di Lp(a) e pertanto l'insulino resistenza si potrebbe associare ad un suo aumento. Il rapporto tra Lp(a) e diabete sarebbe dunque inverso a quanto precedentemente supposto. Non sarebbe il basso livello di Lp(a) un fattore di rischio per il diabete di tipo 2, ma ne sarebbe la conseguenza.
The association between circulating lipoprotein(a) and type 2 diabetes: is it causal?
Ye Z, Haycock PC, Gurdasani D, Pomilla C, Boekholdt SM, Tsimikas S, Khaw KT, Wareham NJ, Sandhu MS, Forouhi NG
Diabetes 2014;63:332-42
Bibliografia
1. Tsimikas S, Hall JL. Lipoprotein(a) as a potential causal genetic risk factor of cardiovascular disease: a rationale for increased efforts to understand its pathophysiology and develop targeted therapies. J Am Coll Cardiol 2012;60:716-721
2. Dubé JB et al. Lipoprotein(a): more interesting than ever after 50 years. Curr Opin Lipidol 2012;23:133-140
3. Erqou S et al. Lipoprotein(a) concentration and the risk of coronary heart disease, stroke, and nonvascular mortality. JAMA 2009;302:412-423
4. Noto D. La lipoproteina (a): dalla biologia alla clinica. Giorn Ital Arterioscl 2014;5:67-79
5. Mora S et al. Lipoprotein(a) and risk of type 2 diabetes. Clin Chem 2010;56:1252-1260
6. Spoto B. La randomizzazione mendeliana come "variabile strumentale" negli studi osservazionali. Giorn Ital Nefrol 2010;27:338
7. Kamstrup PR et al. Genetically elevated lipoprotein(a) and increased risk of myocardial infarction. JAMA. 2009;301:2331-2339.
8. Clarke R et al. Genetic variants associated with Lp(a) lipoprotein level and coronary disease. N Engl J Med. 2009;361:2518-2528
9. Ye Z et al/ The association between circulating lipoprotein (a) and type 2 diabetes: is it causal? Diabetes 2014;63:332-342
10. Rainwater DL, Haffner SM. Insulin and 2-hour glucose levels are inversely related to Lp(a) concentrations controlled for LPA genotype. Arterioscler Thromb Vasc Biol 1998;18:1335-1341
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