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Capacità delle HDL di promuovere l'efflusso del colesterolo cellulare (CEC) ed incidenza di eventi cardiovascolari

Francesca Zimetti, Elda Favari - Dipartimento di Farmacia, Università degli Studi di Parma

 

Numerosi studi epidemiologici definiscono le HDL come il più potente fattore plasmatico ateroprotettivo nell'uomo; un aumento di 1 mg/dl di colesterolo HDL (HDL-C) si associa infatti ad una riduzione del 3-4% della mortalità cardiovascolare [1]. Tuttavia, la valenza protettiva dell'aumento dei livelli di HDL-C indotto farmacologicamente non è ancora stata dimostrata. I risultati negativi degli studi clinici con niacina e dalcetrapib [2, 3] e l'osservazione che variazioni genetiche associate ad aumentati livelli di HDL-C non si associano ad una riduzione degli outcomes cardiovascolari [4] hanno rafforzato l'idea che l'aumento dei livelli plasmatici di HDL-C non rappresenti uno strumento terapeutico efficace.


Parallelamente è emerso il concetto di "qualità" delle HDL, che sono eterogenee in termini di dimensione, carica e contenuto lipidico [5] e diverse dal punto di vista funzionale [6]. Tra le funzioni antiaterogene delle HDL una delle più importanti sembra essere la capacità di promuovere l'efflusso di colesterolo dai macrofagi della parete arteriosa, fungendo da accettori e trasportatori del colesterolo in eccesso al fegato, per l'eliminazione attraverso le feci [7]. L'efficacia dell'attività delle HDL nel singolo individuo può essere valutata misurando la Capacità di promuovere l'Efflusso di Colesterolo" (CEC) con metodiche validate che si basano sia su tecniche radioisotopiche che fluorimetriche.


Il ruolo della CEC del siero come indice di protezione cardiovascolare è stato per la prima volta suggerito da uno studio in cui questa variabile ha mostrato una relazione inversa con l'ispessimento medio-intimale carotideo, indice di aterosclerosi subclinica, rispetto ai livelli plasmatici di HDL-C in due distinte coorti di soggetti [8]. Sulla scorta di questo sono stati pubblicati numerosi lavori [9], tra cui anche una nostra osservazione in cui in soggetti sani la CEC correla inversamente con la rigidità vascolare indipendentemente dai livelli di HDL-C [10].Tali indicazioni suggeriscono che la funzionalità delle HDL, misurata tramite la CEC, potrebbe essere più rilevante delle concentrazioni plasmatiche nella quantificazione del rischio cardiovascolare. In tutti i precitati studi, tuttavia, il disegno trasversale ne ha limitato la capacità di determinare se la compromissione della CEC delle HDL potesse avere valore predittivo nei confronti della patologia cardiovascolare. Per rispondere a questa domanda è stato recentemente condotto uno studio di tipo longitudinale su circa 3000 soggetti in assenza di malattie cardiovascolari, in cui la CEC è risultata inversamente correlata all'incidenza degli eventi, in modo indipendente dai livelli plasmatici di HDL-C [11].


Nel recente lavoro di Saleheen e colleghi si valuta l'effetto della CEC, quale parametro indicatore di funzionalità delle HDL, sull'incidenza del rischio di malattia coronarica, mettendo a confronto 1745 casi verso 1749 controlli [12]. Si tratta di un numero di casi 13 volte superiore rispetto agli studi precedenti, a garantire quindi un migliore grado di confidenza nell'associazione tra la CEC ed il rischio cardiovascolare.
Il principale risultato di questo studio è una relazione inversa e dose-dipendente tra quartili di CEC e incidenza di malattia coronarica, che si mantiene significativa anche dopo correzione per i fattori di rischio tradizionali, inclusi la concentrazione plasmatica delle HDL e di ApoA-I, la principale componente apoproteica di tali particelle (Odds ratio pari a 0.80; 95% CI 0.70-0.90). Al contrario, la relazione inversa e significativa esistente tra la concentrazione di HDL-C ed apoA-I e l'incidenza viene meno dopo correzione per il parametro indice di funzionalità delle HDL, che risulta quindi il fattore predittivo più importante.


Attualmente per valutare il grado di rischio cardiovascolare sono utilizzati algoritmi che tengono conto di parametri come età, peso corporeo, pressione arteriosa, colesterolemia, trigliceridemia, comorbidità. Tuttavia, poiché eventi cardiovascolari "inattesi" si verificano in soggetti classificabili a rischio medio/basso (circa il 40% della popolazione), è opinione condivisa che vi sia necessità di identificare nuovi marcatori per migliorare la valutazione del rischio nel singolo paziente. Particolarmente utile potrebbe risultare l'utilizzo della CEC nell'ampia fascia di soggetti classificati con gli algoritmi attuali come a rischio intermedio e quindi con una probabilità del 15% di andare incontro ad un evento nei 10 anni successivi. In tali soggetti infatti la decisione di intervenire farmacologicamente viene spesso presa in modo arbitrario. L'utilizzo della CEC potrebbe essere determinante nel riclassificare il soggetto verso un rischio ad esempio del 20% ritenuto sufficiente a giustificare l'intervento farmacologico o al contrario del 10% al di sotto del quale viene raccomandato un approccio non farmacologico. Inoltre, poiché le malattie cardiovascolari hanno enormi ricadute in termini personali, sociali ed economici, l'ottimizzazione della prevenzione cardiovascolare attraverso una migliore stratificazione del rischio ottenuta con l'utilizzo di un nuovo biomarker porterebbe ad un più razionale utilizzo delle risorse, perfezionando le indicazioni ai trattamenti farmacologici già disponibili. Un test di funzionalità delle HDL, quale è la CEC, potrebbe potenzialmente essere quindi affiancato agli altri parametri lipidici per migliorare l'accuratezza nella classificazione di rischio del singolo paziente o di specifiche popolazioni e per avviare nuovi approcci terapeutici.


In conclusione il lavoro pubblicato da Saleheen e colleghi documenta l'esistenza di una relazione inversa tra la capacità delle HDL di promuovere l'efflusso del colesterolo e l'incidenza di eventi cardiovascolari, indicando la CEC come promettente biomarker di rischio cardiovascolare. Rimane a questo punto da chiarire l'eventuale causalità di questa relazione ricorrendo ad ulteriori studi, come quelli di randomizzazione mendeliana. Da uno di questi studi è emerso per esempio come le concentrazioni di HDL possano non essere causalmente rilevanti nelle malattie cardiovascolari; è quindi ipotizzabile che le proprietà funzionali delle HDL rivestino un ruolo di primaria importanza. In caso di esistenza di una relazione causale con le malattie cardiovascolari, interventi terapeutici mirati a migliorare questa funzione delle HDL potrebbero rappresentare la nuova strategia terapeutica per la riduzione del rischio.

 

Association of HDL cholesterol efflux capacity with incident coronary heart disease events: a prospective case-control study
Saleheen D, Scott R, Javad S, Zhao W, Rodrigues A, Picataggi A, Lukmanova D, Mucksavage ML, Luben R, Billheimer J, Kastelein JJ, Boekholdt SM, Khaw KT, Wareham N, Rader DJ
Lancet Diabetes Endocrinol. 2015;3:507-13

 

 

Bibliografia


1. Assmann, G., et al., Circulation, 2002. 105(3): p. 310-5.
2. Investigators, A.-H., et al., N Engl J Med, 2011. 365(24): p. 2255-67.
3. Schwartz, G.G., et al., N Engl J Med, 2012. 367(22): p. 2089-99.
4. Voight, B.F., et al., Lancet, 2012. 380(9841): p. 572-80.
5. Calabresi, L., et al., Curr Pharm Des, 2010. 16(13): p. 1494-503.
6. Favari, E., et al., Biochemistry, 2009. 48(46): p. 11067-74.
7. Favari, E., et al., Handb Exp Pharmacol, 2015. 224: p. 181-206.
8. Khera, A.V., et al., N Engl J Med, 2011. 364(2): p. 127-35.
9. Rohatgi, A., Prog Cardiovasc Dis, 2015. 58(1): p. 32-40.
10. Favari, E., et al., J Lipid Res, 2013. 54(1): p. 238-43.
11. Rohatgi, A., et al., N Engl J Med, 2014. 371(25): p. 2383-93.
12. Saleheen, D., et al., Lancet Diabetes Endocrinol, 2015. 3(7): p. 507-13.

 


 

 

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